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Il calcio fighetto ma perdente di Wenger ha stufato l'Arsenal

Giovanni Battistuzzi

L'allenatore francese è alla guida dei Gunners dal 1996 e in 22 anni ha parlato molto di bel calcio, vincendo pochissimo. Ora i tifosi chiedono l'esonero: è la prima volta

Dopo oltre vent'anni la speranza sembra aver abbandonato i cannoni di Londra. E questa è una rivoluzione. Perché è dal 1996 che a Holloway questa non era mai stata scalfita, complice una passione che sembrava infinita per i colori, quelli soliti, quelli rossi e bianchi dell'Arsenal, e che erano diventati una cosa sola con un uomo elegante e composto, con gli occhialetti da intellettuale e la faccia da persona per bene e sagace, Arsène Wenger. Ieri, al termine dell'incontro dell'Arsenal Supporters’ Trust, la società creata dai sostenitori dei Gunners che detiene il 4,5 per cento del club e che "serve a promuovere e rappresentare gli interessi dei tifosi", qualcuno ha posto la questione di fiducia sul futuro del professore della panchina e, per la prima volta dal 1996, la maggioranza (tra l'altro molto ampia: l'88 per cento) ha votato contro: caro Arsène è ora che tu lasci il club, il messaggio.

 

L'inizio del 2018 sembra dunque essere la triste fine di una storia d'amore che sembrava intramontabile, nonostante sia dalla stagione 2003-2004 che l'Arsenal non vince un campionato e che nell'ultimo decennio sia riuscito a conquistare soltanto tre FA Cup, la coppa nazionale inglese, fallendo regolarmente in Europa. D'altra parte questi ultimi tre mesi sono stati avari di soddisfazioni per i londinesi: sono arrivate quattro vittorie, due pareggi e otto sconfitte, l'eliminazione dalla FA Cup, quella rischiata in Europa League contro l'Östersund, la sconfitta nella finale di Coppa di Lega per 3-0 contro il Manchester City; "impresa" replicata tre giorni dopo in campionato. 

 

 

Eppure per Wenger quest'ultimo non è il momento peggiore della sua avventura a Londra. Nel 2014 l'Arsenal fece peggio: perse in poche settimane 5-1 contro il Liverpool, 6-0 con il Chelsea, 3-1 con l'Everton, fu eliminato dalla Champions League dal Bayern Monaco e rischiò di essere estromessa dalla FA Cup dal Wigan, salvandosi ai rigori dopo aver raggiunto i supplementari con un gol di testa in sospetto fuorigioco e grazie a un errore arbitrale. All'epoca il 93 per cento dell'Arsenal Supporters’ Trust votò No alla proposta di richiedere alla società di licenziare il tecnico. La motivazione era composta da poche parole: "Mr. Wenger è parte della storia di questo club".

 

Quattro anni dopo però la storia è meno storia, l'amore è meno amore e la pazienza si è esaurita, nonostante sembrasse impossibile che questo accadesse.

 

Due cose sono però cambiate recentemente.

 

Quando Wenger arrivò ai Gunners nel 1996, l'Arsenal era un club finanziariamente instabile, gestito al risparmio dai discendenti dei due grandi magnati del dopoguerra Samuel Hill-Wood e Sir Bracewell Smith e dal commerciante di diamanti Danny Fiszman, che giocava male anche se ogni tanto vinceva. Viveva di periodi alternati, tonfi e trionfi: era il periodo dei "Crazy Gunners", delle vittorie e sconfitte impreventivabili. Ora l'Arsenal è invece il sesto club più ricco al mondo - terzo in Inghilterra – con un fatturato di 487,6 milioni di euro, secondo il Deloitte Football Money League 2018. Gli ottimi bilanci però non hanno garantito successi rilevanti, ma solo piazzamenti, anche se ottimi (negli ultimi dieci anni solo una volta il club londinese è finito fuori dalla zona Champions, conquistando un pur onorevole quinto posto). Piazzamenti che erano compensati da un buon gioco di squadra, che anno dopo anno si modificava al modificarsi delle convinzioni tattiche di Wenger. Un cambiamento che però si è fermato qualche anno fa, quando, scrivono i tifosi, "lo studio del professore si è trasformato da studio del calcio a studio del suo calcio".

 

L'evoluzione continua di Wenger, iniziata al Nancy a metà degli anni Ottanta, per poi toccare Monaco, Nagoya (Giappone) e Londra, si è interrotta, almeno per secondo il giornalista sportivo inglese Paul Merson, quando l'Arsenal ha iniziato "ad acquistare giocatori già affermati da inserire in uno schema di gioco precostituito, rinunciando a quanto era accaduto sino ad allora, ossia la prassi di acquistare talenti da far adattare a un gioco che si adattava a loro". Insomma da quando "Wenger ha iniziato a pensare di aver trovato la formula magica per il successo, ossia se stesso".

 

Per l'allenatore francese il calcio non è mai stato solo un semplice sport, quanto piuttosto una materia di studio: un qualcosa che si avvicinava agli scacchi, altra grande passione del tecnico, che prevedeva un approccio razionale e scientifico alla gestione della palle e delle azioni. Wenger è di Strasburgo, è francese, ma di formazione tedesca, innamorato del calcio del Borussia Mönchengladbach di Hennes Weisweiler, del suo calcio offensivo e della sua filosofia dell'alternanza di spazi occupati e spazi liberi: difesa e attacco che si muovono in linea retta per occupare l'intera orizzontalità del campo di gioco e inserimenti verticali dei centrocampisti per sfruttare gli spazi liberi. All'epoca fu rivoluzione, oltre a tre campionati tedeschi, una coppa Uefa e una Coppa Campioni persa in finale.

 

 

La lezione di Über Helles divenne mantra per Wenger, che lo rielaborò continuamente per quarant'anni e senza sosta. Chi ha lavorato con lui racconta di un uomo che ha dedicato allo studio del calcio una vita intera, "che arriva al campo di allenamento alle 8,15 del mattino e che se ne va via alla sera e una volta ritornato a casa si rilassa studiando altre partite alla televisione".

 

Le squadre di Wenger sono sempre state l'emblema di una complessità tattica cervellotica che si riassumeva in una semplicità di azione imbarazzante: i giocatori si muovevano nel campo come comandati da un joypad della Playstation, avevano un compito e quello rispettavano in modo ossequioso sino alla tre quarti avversaria, da lì iniziava lo spazio degli attaccanti e quello della libertà d'azione. Nella stagione 2005/2006 questa evoluzione raggiunse l'apice: l'Arsenal era "la squadra che giocava meglio al mondo, pur non essendo la squadra migliore al mondo", scrisse il quotidiano catalano Mundo Deportivo. Raggiunse la finale della Champions e la perse per 2–1 contro il Barcellona di Ronaldinho, Giuly ed Eto'o, guidato da Frank Rijkaard. Lo scrittore Nick Hornby commentò la sconfitta così: "Peccato aver perso, il Barça si è preso il piatto, ma noi abbiamo la portata più succulenta, l'aragosta, ossia il bel calcio".

 

 

"A mangiare sempre aragosta viene voglia di una bella bistecca di manzo", diceva però Christian De Sica e forse lo pensano anche i tifosi dell'Arsenal dopo anni passati ad essere stati nutriti di gran calcio ma in piatti striminziti. E quando anche il gran gioco si è eclissato ecco che si è riscoperta la fame ed è arrivato il tempo del giusto reclamo, quello di porzioni abbondanti, anche se per arrivare a queste si deve fare a meno del grande chef. "Non vogliamo insegnare calcio, vogliamo vincere e Wenger è bravissimo a fare la prima cosa, non tanto la seconda", hanno scritto i tifosi in una lettera al club. E quindi forse è davvero arrivato il tempo degli addii, del distacco che tutti sapevano sarebbe arrivato, ma che nessuno sapeva quando si sarebbe davvero realizzato.