Il gol di Victor Wanyama durante Tottenham Hotspur- Liverpool (foto LaPresse)

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Jack O'Malley

Guardare Liverpool-Tottenham e capire che il segreto dell’arbitraggio all’inglese è nel grasso

Liverpool. Ci sono poche certezze nella vita, e poche di più nel calcio: a quelle conviene aggrapparsi nei momenti di incertezza. Per citarne alcune, gli scontri tra tifosi alla fine di ogni benedetto Olympiakos-Aek Atene, Bonera che entra male in tackle, il Sassuolo che sviene in occasione dei raduni di famiglia all’Allianz Stadium, le squadre di Guardiola che rallentano a febbraio, Spalletti che smette di capirci qualcosa a febbraio, Bruno Peres che gioca a Gta per le strade di Roma all’alba, l’Italia che le prende dall’Inghilterra al Sei Nazioni di rugby.

 

Poi ci sono i misteri inspiegabili, che nella vita fanno pensare a seconda dei casi a Dio o all’alcol, e nel calcio a quanto questo sia uno sport come le liste del centrodestra in Italia, pieno di risorse. Uno di questi è la campagna acquisti di gennaio del Benevento. Dopo Joe Hart al Torino un anno fa ero quasi pronto a tutto, ma vedere Sagna lasciare il Manchester City per giocare quattro mesi in una squadra già retrocessa in serie B (e come lui Sandro, ex Tottenham e Brasile) è qualcosa che va oltre le mie capacità di comprensione.

 


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Viva il Benevento, però, e tutti quelli che pensano che nulla sia mai finito fino a che non è finito veramente. Un altro esempio perfetto di mistero calcistico è il gol al 90’ di Pazzini al Real Madrid, per il 2-2 finale del Levante. Il Pazzo faceva panchina al Verona (non alla Juve, al Verona penultimo in classifica), il cui allenatore deve avere un ottimo fornitore di superalcolici per tenere fuori uno come lui. Fuggito in Spagna per rinascere, l’ex attaccante di Inter, Milan e molte altre squadre, ha fatto gol alla prima partita, diventando idolo indiscusso dei tifosi, già pazzi di lui. Un consiglio ai tifosi dell’Hellas: non seguite più la Liga, e non solo perché è un campionato ridicolo. Vedere segnare il proprio ex attaccante mentre la tua squadra affonda è un’esperienza da evitare, come sanno bene i tifosi della Roma quando guardano le partite del Liverpool, e piangono ogni volta che Salah dribbla mezza squadra avversaria per poi segnare in pallonetto, come ha fatto domenica contro il Tottenham. A proposito, spero che abbiate visto tutti la partita di Anfield tra i Reds e i prossimi avversari della Juventus in Champions League. Il 2-2 di Liverpool è stato molto istruttivo sotto diversi punti di vista. Non sto parlando solo del ritmo, sempre alto – prendere appunti –, né dei ribaltamenti di fronte e risultato, o della bellezza di una sfida così importante giocata a viso aperto (men che meno, soprattutto, del fatto che sto parlando come un commentatore della Rai).

 

Se avete visto la partita, vi sarete resi conto di che cosa è un arbitraggio all’inglese: credo di avere contato almeno 10 entrate non sanzionate dal referee che in Italia sarebbero sarebbero finite con cartellini gialli e rossi sventolati in faccia a chiunque, giocatori a terra moribondi, barelle e ambulanze sul campo e almeno un paio di tumulazioni improvvisate dopo appelli a Marco Cappato per porre fine alle sofferenze degli infortunati. Il fatto che in Premier League si faccia giocare molto di più rispetto alla serie A è presto spiegato: guardate la stazza dell’arbitro di Liverpool-Tottenham, Jon Moss, i cui rotoli addominali non erano sfinati neppure dal nero della divisa. Sempre in ritardo, sempre in affanno, arrivava 10 secondi dopo ogni fallo, come avrebbe potuto fischiarli? Ha pure dato due rigori molto generosi al Tottenham. Ma così facendo ha permesso ad Harry Kane di dimostrare ancora una volta perché è il migliore: dopo avere sbagliato il penalty del possibile 1-2 a pochi minuti dal 90’, è tornato sul dischetto al 94’ per segnare il 2-2. Chiunque altro lo avrebbe fatto tirare a un compagno. Lui no. Ha preso la palla, ha guardato il portiere, ha segnato. E ha superato Salah nella classifica cannonieri, che lo aveva raggiunto un minuto prima.

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