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Se la serie A è ancora incerta il merito è del Napoli di Sarri

Leo Lombardi

In tutta Europa tutti i campionati sono ormai (quasi) decisi. Rimane l'Italia a offrire una sfida convincente tra la Juventus e gli azzurri, giunti alla fase della maturazione definitiva

Non sappiamo se, alla fine, il Napoli ce la farà a rovesciare la tirannia della Juventus, che si prolunga ormai da sei campionati. Ma per una cosa, almeno, dobbiamo ringraziarlo già da questo momento. Se in Europa la serie A è rimasto l'unico torneo che abbia ancora un senso, lo dobbiamo proprio ai campani. Dalle altre parti il destino è pressoché segnato: in Inghilterra, il Manchester City; in Germania, il Bayern Monaco; in Spagna, il Barcellona; in Francia, il Paris Saint Germain. Hanno margini sulle seconde talmente elevati che appare estremamente complicato attendersi rivoluzioni. In Italia no. Perché non solo il distacco tra prima e seconda è di appena un punto, ma in testa c'è quella che – ancora oggi – appare la meno favorita delle due. E il merito è tutto del Napoli che, rispetto alla passata stagione, ha saputo migliorarsi di ben dodici punti: soltanto in questo modo avrebbe potuto mettere il naso davanti a una Juventus che viaggia su queste medie ormai da tempo.

 

 

Dietro a tutto questo c'è Maurizio Sarri, uno arrivato tardi ad alti livelli ma che ha immediatamente attirato l'attenzione su di sé. Tardi perché il tecnico del Napoli, fino quattro stagioni fa, la serie A era abituato a seguirla in televisione e di anni ne aveva già 55. Un'età in cui, abitualmente, un allenatore è considerato in fase calante. Per Sarri è stata invece l'era di un'inattesa esplosione. Merito dell'Empoli, che avrebbe potuto cacciarlo con tutte le ragioni e invece gli ha dato fiducia contro tutto e contro tutti. Nel 2012, alla nona di campionato, i toscani sono umiliati in casa dall'Ascoli, penultimi in serie B e con la peggiore difesa. Sarri, reduce da un esonero a Sorrento, è un dead man walking. A Lanciano, la svolta. L'Empoli vince 3-0, infilando una serie di vittorie che lo porta alla salvezza tranquilla, cui segue – nella stagione successiva – la promozione. E il primo anno in A è talmente convincente da portare Sarri altrove, su una panchina per nulla facile come quella del Napoli.

  

Quando arriva lo circonda soltanto lo scetticismo, oggi è un intoccabile. Lo è perché ha dato alla squadra un'identità precisa e una mentalità vincente, trasformando innanzitutto se stesso. Rimane sempre un difensivista per natura, ma oggi lo è attraverso lo sviluppo della fase offensiva: se la palla stazione abitualmente nella trequarti altrui, ben difficilmente la propria difesa verrà messa in pericolo. E i risultati si vedono, con la sensazione di un Napoli giunto alla fase della maturazione definitiva. Nel senso: lo scudetto deve arrivare quest'anno, quello in cui la squadra sta offrendo il massimo possibile. Un massimo rappresentato dalla difesa meno battuta del torneo, da un centrocampo che sa fa girare palla come pochi e da un attacco che, da scommessa (i tre piccoletti), si è trasformato in un marchio di fabbrica, con Mertens che vive come inatteso centravanti i migliori anni della sua carriera.

  

Un'intuizione, quest'ultima, che fa capire quanto Sarri sia comunque uno capace di correggersi in corsa. E' nata dopo l'infortunio di Milik e dopo aver scoperto di non possedere in casa un'alternativa al centravanti classico. Allo stesso modo occorre ricordare come, appena arrivato a Napoli, il tecnico avesse abiurato il proprio modulo di riferimento (il 4-2-3-1) per fissarsi su un altro (il 4-3-3) più corrispondente alle caratteristiche dei giocatori a disposizione. Dettagli che spiegano perché i campani oggi sia davanti a tutti, sognando l'insognabile, e perché Sarri sia uno degli allenatori da osservare con più attenzione nel panorama non solo italiano. Se poi si togliesse una reiterata tendenza a cercare nemici ovunque (vedi l'ultima battaglia contro le date del calendario, che favorirebbero la Juventus), sarebbe il massimo. Ma, si sa, nessuno è perfetto.

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