Bryan Cristante (foto LaPresse)

Dal Paradiso all'Inferno e ritorno. Storia di Bryan Cristante

Leo Lombardi

Il debutto a 16 anni con il Milan in Champions League, poi la partenza per il Portogallo, scelte sbagliate, poche partite e una carriera che sembrava destinata all'anonimato. All'Atalanta Gasperini lo ha rigenerato. E ora i rossoneri si pentono

Da predestinato a dimenticato. Questa la parabola che avrebbe potuto chiudere di corsa la carriera di Bryan Cristante. Predestinato perché non capita tutti i giorni di debuttare a sedici anni e nove mesi in Champions League, come gli succede nel 2011, quando Massimiliano Allegri allena il Milan e segue questo ragazzetto alto e tecnico, così bravo in Primavera. Prima lo fa sedere in panchina al fianco di Zlatan Ibrahimovic, poi lo butta in campo negli ultimi minuti nella trasferta con il Viktoria Plzen. E allo stesso modo non capita tutti i giorni di debuttare in campionato prendendo il posto di uno che si chiama Kakà. Per questo tutti parlavano di Cristante come di un mattone della futura casa del Milan. D'altra parte erano i giorni in cui Adriano Galliani sottolineava come in futuro giovani e colori rossoneri avrebbero camminato insieme, segnando un destino luminoso per la squadra.

 

Ma è un progetto che balla una sola estate. Il Milan è entrato nella fase declinante della gestione di Silvio Berlusconi, i soldi servono per pagare i fornitori più che per assicurarsi campioni. Così Cristante saluta nell'estate 2014, pagato 6 milioni di euro dal Benfica: una discreta cifra per un ragazzo di 19 anni, un tozzo di pane per uno su cui tanti scommettevano. La separazione dal rossonero coincide anche con l'ingresso del centrocampista in un cono d'ombra: scelte sbagliate, poche partite. Le scelte sbagliate cominciano proprio in Portogallo, con allenatori che non lo stimano, e proseguono al ritorno in Italia. Prima Palermo, poi Pescara: due polveriere di fondo classifica, che lo spediscono in un limbo calcistico. Eppure, un anno fa, l'Atalanta pensa proprio a lui come sostituto quando comincia ad aprirsi in questi tempi al pressing dell'Inter su Roberto Gagliardini. Gian Piero Gasperini è uno che non si fa influenzare dai pregiudizi, sa che si tratta di un giocatore di talento, anche se è forse l'unico a esserne convinto.

 

Cristante arriva pochi giorni prima della fine del mercato, in troppi lo vedono solo come una soluzione di ripiego, buona al massimo per la panchina. Tranne il suo allenatore. Gasperini comincia a lavorarci intorno come solo lui sa fare. L'esperienza di anni di settore giovanile si traduce nella capacità di trarre il meglio da chi si ha di fronte. Al Genoa reinventava giocatori (un nome: Thiago Motta), lo stesso fa all'Atalanta. Attende con pazienza che Cristante si scrolli la ruggine di dosso e gli cuce un nuovo ruolo: sempre centrocampista ma spostato avanti di qualche metro, con ampia libertà di manovra.

 

I risultati? Esaltanti, in questa stagione. Cristante si muove a tutto campo, lo vedi andare ad aggredire nella trequarti avversaria come randellare nella propria metà campo, con la capacità di verticalizzare subito il gioco, come piace al suo tecnico. Ma con una novità in più, ovvero l'apporto sottoporta. Sei i gol realizzati in campionato, cinque su palla inattiva. L'ultimo per punire il Milan, gettandosi con ferocia su una punizione mal respinta da Gigio Donnarumma, uno che sta vivendo male il proprio talento. Prestazioni e reti che lo hanno reso insostituibile nell'Atalanta e portato fino alla Nazionale, dove ha debuttato contro la Macedonia entrando proprio al posto di Gagliardini. L'Italia che verrà avrà bisogno di uno come Cristante, per ricostruire sulle macerie della mancata qualificazione mondiale. Uno che a Bergamo pagheranno appena quattro milioni per riscattarlo dal Benfica, facendo gridare ancor più vendetta per quella che fu la scelta del Milan: per la manciata di soldi presi e per il valore del giocatore lasciato per strada.

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