Rosy Bindi (foto LaPresse)

Per Bindi la mafia nel calcio si combatte anche trasformando gli stadi in carceri

Massimo Solani

La Commissione Antimafia ha approvato, all'unanimità, la relazione su “Mafia e Calcio”. Molte le “infiltrazioni” denunciate dai magistrati. Per combatterle la prima soluzione proposta è un giro di vite sull'ordine pubblico 

“Valutare l’introduzione anche di misure, come strutture sul modello inglese che consentano di trattenere temporaneamente soggetti in stato di fermo all’interno dello stadio, atte ad agevolare l’azione delle forze dell’ordine, con particolare riferimento all’arresto in flagranza, anche differita, e alla possibilità di procedere al giudizio per direttissima”. E ancora: “intervenire sul provvedimento di Daspo irrobustendone l’efficacia sia prevedendo termini di efficacia più severi che introducendo l’obbligo e non più la facoltà di imporre al destinatario di presentarsi agli uffici di pubblica sicurezza nel corso delle manifestazioni sportive”.

    

E’ un duro giro di vite in termine di ordine pubblico quello consigliato dalla Commissione parlamentare Antimafia nella relazione su “Mafia e Calcio” approvata all’unanimità. Perché, secondo l’assunto della relazione, per provare a stringere le maglie che consentono alle mafie di infiltrarsi negli stadi sfruttandone le zone franche di illegalità, la prima ricetta è legata alla gestione dell’ordine pubblico. “Il rapporto tra la mafia e le tifoserie – si legge infatti nella relazione - è la porta d’ingresso che consente alla criminalità organizzata di tipo mafioso di avvicinarsi alle società per il tramite del controllo mafioso dei gruppi organizzati; le forme di estremismo politico che in essi allignano, inoltre, rischiano creare saldature con ambienti criminali mafiosi ancora più preoccupanti per la sicurezza e la vita democratica”.

   

E le cento pagine del documento, in questo, sono una raccolta di vicende che le inchieste della magistratura hanno affrontato in questi anni. A partire dai tentativi delle mafie di controllare alcuni dei business legati al calcio, come la vendita dei biglietti.

   

“Non c'è stata complicità consapevole da parte della Juventus, però la società non è stata neanche vittima - ha commentato la presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi tornando sulla vicenda dei tifosi, legati alla 'ndrangheta coinvolti nella gestione del bagarinaggio -  C'è stata una sottovalutazione di questo rischio”. Una versione leggermente diversa dal processo mediatico che, mesi fa, anche con la complicità della commissione Antimafia, venne scatenato contro il presidente bianconero Andrea Agnelli (la sentenza del  Tribunale Federale Nazionale della Figc, pur inibendolo per un anno per la vicenda dei biglietti venduti ai gruppi ultras “oltre il limite normativo”, ha escluso che il dirigente fosse a conoscenza del controllo mafioso sul bagarinaggio).

   

Ma i lavori dell’Antimafia hanno acceso un faro anche sulle vicende di Catania, dove alcuni dei capi dei gruppi ultras più in vista appartengono alle famiglie mafiose locali e due di loro sono stati addirittura condannati “per tentata estorsione aggravata dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa dei “Cursoti” ai danni del giocatore del Catania Marco Biagianti”. Forte, secondo l’attività delle direzioni distrettuali antimafia, anche l’infiltrazione dei clan dentro lo stadio San Paolo di Napoli. Dove addirittura la posizione dei vari gruppi sugli spalti sarebbe decisa in base all’appartenenza alle famiglie mafiose. O ancora i presunti rapporti ricostruiti dal pm Parascandolo tra l’allora giocatore del Napoli Ezequiel Lavezzi e il boss, ora pentito, Antonio Lo Russo. L’uomo che da latitante seguiva tranquillamente le partite del Napoli da bordo campo, dove entrava con un pass da giardiniere. A Latina, invece, secondo i magistrati era proprio l’ex presidente della squadra di calcio, il deputato Pasquale Maietta, ad intrattenere rapporti con “soggetti appartenenti alla criminalità organizzata locale, particolarmente violenta, a cui risulta essere parimenti assoggettato il Comune di Latina”. Insomma le “infiltrazioni” non mancano. Da capire se le celle negli stadi siano lo strumento utile per combatterle.

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