Ivan Perisic (foto LaPresse)

Perisic, l'ala a perdifiato

Beppe Di Corrado

Corre, recupera, serve assist, segna e non si stanca mai. La risorsa dell’Inter che ringrazia ancora il padre e la sua fattoria

Chi non ha mai giocato sull’esterno forse non può capire. E’ una pista di decollo: stretta, lunga, dritta. Da una parte hai la linea laterale, dall’altra il difensore: è il corridoio di gioco, la via di fuga. Scegli tu quanto sia largo, in maniera inversamente proporzionale alla tua capacità di giocare negli spazi stretti. Fino all’uso massiccio delle ali a piede invertito, i mancini giocavano a sinistra e i destrorsi a destra, conducevano il pallone con il loro piede principale, ovvero quello più esterno e su quella pista di decollo facevano avanti e indietro. Stretti e veloci, in campo e nel pensiero, perché se volevi superare l’avversario – e il mestiere dell’ala era soprattutto quello – avevi due, al massimo tre, giocate possibili. Poi dovevi essere rapido, rapidissimo. Perché era sempre una questione di tempo di gioco: la differenza tra uno forte e uno normale, oppure tra una prestazione buona e una mediocre. Ivan Perisic ha allargato la pista, ma ha tenuto i princìpi. Gioca da mancino anche se è fisiologicamente un destro. Mancino atipico, l’hanno definito. Perché tecnicamente non è mancino, ma si comporta come se lo fosse. Il che ha spinto i suoi allenatori a non cedere alla tentazione di metterlo dall’altra parte, dove giocando orientandosi con il sinistro potrebbe accentrarsi e calciare. Li ha convinti senza neanche troppi sforzi perché su velocità, rapidità e sui tempi di gioco oggi è il meglio che c’è. Punta, salta, va; oppure: cerca l’uno-due, e passa dietro all’avversario; oppure: viene verso il centro a chiudere in fase difensiva, poi si allarga e prende lo spazio; oppure: si accentra quando la palla è a Candreva sulla destra per chiudere la diagonale offensiva calciando in porta.

 

I movimenti sono sempre giusti, i tempi pure. La linea laterale sinistra è un punto di riferimento che gli dà sicurezza. Questa è un’altra caratteristica delle ali: hanno bisogno di un confine per sentirsi liberi. E’ il paradosso del talento che si esalta perché costretto a farlo. Geograficamente, oltre che mentalmente. E’ da quel limite che si parte verso il campo aperto. Ed è verso quel limite che si torna per sentirsi al sicuro. Se un giorno la Fifa ampliasse la misura in larghezza del campo, gli esterni cercherebbero comunque la linea, per se stessi e per la squadra. Più largo stai più consenti alla mezzala di inserirsi. L’ala detta la giocata agli altri: fa esterno e crea il corridoio per il centrocampista, si accentra e lascia la corsia per la sovrapposizione del terzino. Non è l’unico, certo. Ma è l’unico ruolo che fa questo con la palla al piede: gli altri creano l’opportunità per il compagno quando sono senza palla, l’ala lo fa anche quando è in possesso. Perisic è un esempio. Perisic è spesso un manuale. Da quando s’è presentato al calcio italiano dicendo ciò che nel calcio italiano era davvero passato di moda: “Sono destro, ma calcio meglio con il sinistro e sono un’ala sinistra”. Banale solo all’apparenza. Da un lato per la storia degli esterni a piede invertito, dall’altra perché nell’Inter post Triplete sembrava che le ossessioni fossero o i trequartisti o gli esterni medio-bassi, quelli per giocare con una linea di centrocampo fatta di 5 oppure con una linea di difesa fatta di 5. Dire con orgoglio “sono un’ala sinistra” poteva apparire distonico rispetto alle idee e ai progetti del club. Invece no. Era una scelta precisa e oggi quella scelta si vede in tutta la sua lungimiranza.

 

Gioca da mancino anche se è fisiologicamente un destro. Sulla velocità oggi è il meglio che c'è. Tempi e movimenti sempre giusti

Bastava guardare il suo percorso, in fondo. Perisic ha cominciato a Spalato, nell’Hajduk. E’ nato a Omis, una cittadina sulla costa croata, non distante da Spalato stessa. Poco fuori Omis, suo padre Ante aveva una fattoria. Il dettaglio non è superfluo, perché in qualche modo ha inciso nella carriera. La prima traccia di Ivan è del 2006, l’Hajduk fa la preparazione in Slovenia e lui a 17 anni comincia a entrare stabilmente nei 14-15 titolari che ruotano, con una differenza: non ha ancora firmato un contratto da professionista. Se ne accorgono i dirigenti del Sochaux, che mandano un jet privato a Spalato per prelevarlo. All’Hajduk non la prendono bene, ma Ivan si rifiuta di firmare il contratto: è già in Francia con sua madre e sua sorella. Alla fine i due club trovano un accordo che mette fine alla disputa: il Sochaux versa all’Hajduk 360.000 euro, una cifra inferiore rispetto a quella che i croati percepiranno nove anni dopo grazie al “solidarity fund scheme” (che premia il club in cui il calciatore è cresciuto) per il trasferimento dal Wolfsburg all’Inter.

 

Come ha scritto Sebastiano Iannizzotto: “Ecco la prima accelerazione nel tempo di Ivan Perisic. E la spiegazione razionale a questo strappo imprevedibile arriverà solo otto anni dopo, durante la Coppa del Mondo del 2014, dopo Camerun -Croazia e dopo quello che il Guardian ha definito ‘Perisic’s wonderfully Gareth Bale-esque goal’. In un’intervista alla Slobodna Dalmacija, Ante Perisic, il padre di Ivan, racconta di essere stato la causa del trasferimento così veloce e in parte incomprensibile al Sochaux: la fattoria di famiglia rischiava la bancarotta e a lui servivano soldi per rimettere in sesto le finanze familiari. ‘Lasciare l’Hajduk per il Sochaux era la cosa migliore: volevo che la mia famiglia stesse lontana dalla mia sofferenza’, dice Ante, che, dopo il trasferimento del figlio, era rimasto a Omis per risollevare le sorti della fattoria”.

 

Per questo il dettaglio dell’azienda agricola non era ininfluente. Ha condizionato la carriera di Perisic più di ogni altra cosa esterna al suo talento. Il che non è un giudizio di valore, è semplicemente un fatto. Succede a molti, è successo anche a lui. E’ il fattore esterno che modifica il corso delle cose. Così come è un fatto che in Francia Ivan non giocasse. Così nel 2009 venne ceduto in prestito al Roeselare, in Belgio. Qualche mese dopo fece un provino con l’Herta Berlino e fu scartato. Fu invece acquistato dal Club Brugge. Felice? Più o meno. Più perché da quel momento comincia a giocare. Più perché nella stagione 2010/11 segna 22 gol e diventa capocannoniere della Jupiler League. Meno per il ruolo: prima ala a piede invertito, poi trequartista, poi seconda punta. La sinistra, il confine, la linea, il corridoio, la pista di decollo: tutto quello che abbiamo detto prima viene archiviato temporaneamente. Certo, Perisic funziona. Ma è questo quello che vuole? Lui, dopo, dirà di no. Lo fa capire anche quando accetta il passaggio nel Borussia Dortmund di Jürgen Klopp, dopo un colloquio decisivo con il mister che gli dice: giocherai a sinistra. Con i gialloneri vince la Bundesliga e la Coppa di Germania. E gioca appunto a sinistra. Solo che Klopp chi chiede di rientrare più di quanto sia abituato a fare e Ivan va spesso in difficoltà. Nel 2012 arriva Marco Reus. Klopp preferisce il tedesco e Perisic finisce col rilasciare una dichiarazione che lo allontanerà da Dortmund: “Ogni volta che sto in panchina, mi sembra di morire”.

 

Spalletti gli chiede di trasformarsi in attaccante e difensore aggiunto. All'Inter ha segnato 10 gol negli ultimi 15 minuti di gara

E’ l’inizio di un periodo di lamentale pubbliche per lo scarso utilizzo in campo. Klopp non la prende bene: “Lagnarsi in pubblico è un comportamento infantile; se un calciatore professionista non gioca, dovrebbe stare zitto e allenarsi con impegno e intensità, non lamentarsi con i giornalisti”. A gennaio 2013 è sul mercato e finisce al Wolfsburg. Perisic non lo sa, ma incredibilmente le sue lamentele che lo fanno crollare nelle attenzioni di uno degli allenatori più importanti e bravi d’Europa, saranno la sua fortuna. Questo apre per un secondo il tema del carattere. I tifosi dell’Inter lo hanno visto: non è particolarmente facile, Perisic. Quest’estate, quando s’era messo in testa che le cose non andavano come voleva lui, era stato particolarmente sgradevole: la storia della fotografia della rosa e dei suoi capricci è stata imbarazzante, così come la manata data alla telecamera del cronista di Sky che cercava solamente di fargli una domanda. Klopp aveva ragione, in sostanza. Ma come a volte accade, chi ha torto trova comunque un’occasione di riscatto. A Perisic è successo allora (e anche adesso a dirla tutta). Lì al Wolfsburg gioca con il croato Ivica Olic. Nel primo periodo viene schierato a sinistra in un 4-2-3-1, e i movimenti di una prima punta come Olic  aprono spazi in cui Perisic può affondare e segnare i dieci gol della stagione 2013/14. Nella stagione successiva, l’arrivo di Bas Dost, un riferimento offensivo molto più statico rispetto a Olic, modifica il gioco di Perisic: e lui torna a essere più ala, crossa molto di più segna la metà dei gol della stagione precedente, ma aumenta moltissimo la quota assist. E’ quella che lo fa notare dall’Inter, che spende quasi 20 milioni di euro per prenderlo.

 

L’idea, al netto delle ossessioni di cui abbiamo detto prima: si prende un calciatore di 25 anni, da una squadra di buon livello europeo, nazionale croato, con un ruolo preciso e però la possibilità di utilizzarlo anche altrove, con un cartellino non costosissimo e con un ingaggio umano. Il problema, in sostanza, non era Perisic all’inizio. Ma l’Inter. Nonostante questo fa 11 gol nella prima stagione, nove nella seconda. Non rilascia volentieri interviste, in una rara occasione spiega: “In Bundesliga potevo godere di ampi spazi in cui il mio stile fatto di inserimenti, accelerazioni, tagli in profondità ha potuto esplodere ed essere devastante; questo mi ha consentito di fare anche molti gol. In serie A, in generale nel calcio italiano, mi sto confrontando con un gioco più tattico che tende a chiudere gli spazi”.

 

Nonostante le qualità oggettive, all’Inter, prima dell’arrivo di Spalletti, in più di una circostanza è venuta voglia di venderlo. Tanto che prima della fine della stagione scorsa, Zvonimir Boban ha detto: “Se pensano di cederlo, non capiscono molto di calcio”. Subito dopo c’è stato il momento peggiore: quello del rientro per la preparazione. C’erano voci che lo vedevano ovunque, soprattutto allo United, c’erano idee di utilizzarlo per fare cassa per il fair play finanziario. Poi ha parlato Spalletti: “Io tengo Perisic”. Messaggio al club e messaggio a lui. Oggi dopo 15 partite è già a 7 gol e 15 assist. Sei di questi sono stati vincenti, il che lo pone, con Antonio Candreva, in testa alla classifica dei fornitori di passaggi gol. Poi c’è molto altro: ora Perisic difende: Spalletti lo usa perfettamente quando può letteralmente rincorrere gli avversari: alla fine correre, da un punto di vista atletico, è quello che sa fare meglio. Secondo Dario Saltari: “In serie A non ci sono calciatori che possono correre col pallone più velocemente di quanto corra Perisic senza il pallone, che sappiano sommare il suo stesso numero di scatti e sforzi muscolari, rispondere ai suoi cambi di velocità, competere con la sua resistenza quando si tratta di andare al contrasto ad alta velocità. Questo, in sostanza, vuol dire non poter attaccare in profondità dalla sua parte. E per una squadra come l’Inter, che non ha meccanismi organizzati di riconquista del pallone e quindi tende a sbilanciarsi facilmente, perdendo le distanze con frequenza in transizione difensiva, avere un giocatore capace di coprire porzioni di campo praticamente illimitate, anche all’indietro, è fondamentale (…). Spalletti chiede a Perisic di trasformarsi in un dodicesimo uomo, attaccante e difensore aggiunto, con compiti specifici come il pressing alto e le coperture centrali evidenziate sopra, e un lavoro extra, ritagliato totalmente sulle sue qualità atletiche, con coperture profonde che lo trasformano di fatto in un aiuto supplementare al pacchetto difensivo quando l'Inter si allunga. Una richiesta che pochissimi altri giocatori sarebbero in grado di esaudire”. 

 

Nel 2013 le sue lamentele, che lo fanno crollare nelle attenzioni di uno degli allenatori più bravi d'Europa, fanno la sua fortuna

Però c’è un altro dato rilevante, forse il più rilevante di tutti. Da quando è all’Inter ha segnato 10 gol negli ultimi 15 minuti di gara. In questa stagione è accaduto consecutivamente con le prime tre reti in campionato: al 79′ con la Fiorentina, all’87’ contro la Spal e al 92′ a chiudere la sfida contro il Crotone. Questo può significare molte cose e soprattutto una, spiegata benissimo da Beppe Bergomi qualche sera fa: “La caratteristica principale di Perisic è che quando gli altri calano, lui cresce”. Lui non perde carica, né energia, né reattività. Il che lo rende unico. Per creare superiorità individuale, specie sugli esterni, solitamente gli allenatori usano i cambi: metto dentro uno fresco che può spaccare la partita adesso che gli altri si sono stancati. Con Perisic non serve. Il che consente un’altra cosa: risparmiare spesso un cambio. In una delle prime dichiarazioni su di lui, Luciano Spalletti ha detto: “Ivan è un atleta impressionante, fa recuperi fondamentali, mette la squadra al primo posto. Ama molto muoversi lungo la linea laterale, a Roma è stato decisivo lì, ma se impara a stare ogni tanto anche cinque metri più verso l’interno può diventare devastante nella riservina, nella zona alle spalle di Icardi, dove c’è l’animale buono da cacciare, dove si può fare molto male all’avversario”. Tornando alla sua fisicità e al suo essere atleta, Daniele Adani l’ha definito un decatleta: “Potrebbe fare almeno altri sette-otto sport ad alto livello”. All’Inter basta che continui a farne uno. Il suo.

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