Sumo, il peso della tradizione che non piace più ai giapponesi

Tomozuna Oyakata ha rinunciato alla sua nazionalità per diventare maestro e oggi è il primo mongolo a guidare una palestra. La dura vita dei lottatori di sumo

Redazione

Lo sport giapponese nazionale del XV secolo, il sumo, è diventato un po' meno giapponese da quando nuovi lottatori mongoli hanno intrapreso gli allenamenti, coprendo il vuoto lasciato dai giovani del Giappone. Gli allenamenti sono estenuanti e molti di loro hanno rinunciato a intraprendere questa vita, che per i mongoli rappresenta invece un'opportunità di ricchezza. Tomozuna Oyakata, meglio conosciuto con il suo nome da combattimento Kyokutenho, è il primo mongolo a guidare una palestra di sumo, quella di Tomozuna, che ha una lunga e importante tradizione. Per diventare maestro Kyokutenho ha dovuto rinunciare alla sua nazionalità diventando giapponese. È stato uno dei primi sei lottatori mongoli ad intraprendere questa disciplina, nel 1992, e dopo le difficoltà iniziali con lingua e oggi si è completamente abituato a vivere secondo la cultura giapponese, come ha raccontato Reuters, che ha ottenuto il permesso di passare una giornata nella prestigiosa palestra e incontrarlo. "Indossiamo i nostri topknot, kimono e sandali e viviamo secondo le regole giapponesi e le regole di sumo", ha raccontato Kyokutenho. "È solo per caso che siamo nati con una nazionalità diversa".

  

Ogni giorno, dopo più di tre ore sul ring, i rikishi incontrano i fan e si godono un po' di tempo libero prima del pranzo. Devono assumere circa ottomila calorie al giorno e bere molta acqua per non infrangere la loro dieta. Uno dei pasti più calorici è una zuppa di piedi di maiale, sardine alla griglia e fritte e riso al vapore, la tradizionale "chanko nabe". Dopo averla consumata i lottatori spendono diverse ore a riposare, così da bruciare meno calorie possibili, indossando una maschera di ossigeno che li aiuta a respirare.

  

Foto Reuters

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