Marco Pantani sul Valico di Santa Cristina (screenshot da YouTube)

Sulle Alpi apparve Marco Pantani: meno 23 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Prima lo scatto sul Passo di Monte Giovo e la planata verso Merano, poi il vuoto sul Mortirolo e sul Valico di Santa Cristina. In due giorni lo scalatore romagnolo ribaltò il ciclismo

La prima fu sorpresa. Era il 4 giugno del 1994 e si percorreva la quattordicesima tappa, la Lienz-Merano, 235 chilometri. Tra avvio e finale Passo di Stalle, Passo di Furcia, Passo delle Erbe, Passo di Eores, Passo di Monte Giovo. Dalla cima dell’ultimo Gran premio della montagna all’arrivo quarantadue chilometri di discesa e falsopiano a discendere. Pascal Richard era in fuga dal mattino, con lui Claudio Chiappucci e Sergei Uchakov. Dietro il gruppo a inseguire. Da questo, quando el Diablo fu ripreso e il Giovo stava per concludersi un altro uomo vestito Carrera-Tassoni scattò. Un fulmine. Uno, due, tre scatti, la velocità che sale, che si fa vertigine e dietro che guardano e sembrano dire: dove vuoi andare che ti veniamo a riprendere, che mancano quaranta chilometri e siamo in tanti e tu da solo. Quel ragazzo aveva 24 anni, era al secondo anno da professionista e se ne parlava un gran bene: forte, ma fa sempre quello che vuole, niente tattica, niente preparatori, niente programmazione. Quel ragazzo scattò e tutto sembrava già scritto, inseguimento e ricongiungimento. Dieci secondi dietro lo svizzero Richard, dieci avanti il gruppo della Maglia Rosa Evgenji Berzin, in mezzo, che nemmeno le telecamere lo inquadrarono. Quel ragazzo però non se ne fregò del buon senso e della logica, della discesa e dell’asfalto fradicio, incastrò il sellino sotto lo sterno e disteso sulla bicicletta prese il largo. Guadagnò oltre un minuto a naso all'ingiù, ne perse venti negli ultimi venti chilometri di tappa, arrivò a Merano, solo e mani alzate sotto il traguardo, ma quasi senza gustarsi l’effetto che faceva, perché c’era da guadagnare terreno, andare a tutta sino ai venticinque metri dal traguardo.

Sul Passo di Monte Giovo, giù verso Merano, il Giro d’Italia capì chi era quel ragazzo con il berrettino in testa e pochi capelli sotto, chi era Marco Pantani.

La seconda fu impresa. Era il 5 giugno del 1994, un giorno dopo, una tappa dopo, la quindicesima, la Merano-Aprica, 195 chilometri e Passo dello Stelvio, Passo di Mortirolo e Valico di Santa Cristina a ergersi esami davanti ai corridori. Franco Vona era avanguardia sul Mortirolo, Udo Bolts, Massimo Ghirotto primo inseguimento, con Wladimir Belli e Claudio Chiappucci alle loro spalle, il gruppo minuti dietro. Il copione era simile al giorno prima, ma di salite ne mancavano ancora tre, di chilometri oltre cinquanta. Chiappucci era davanti e in fase di recupero su Vona, ma Pantani non ci pensò, decise l’azzardo e iniziò a scattare che il Mortirolo non era neppure a metà. Fu deflagrazione, il gruppo che correva compatto si sparpagliò per la salita. La sua era una danza, uno spettacolo di leggerezza e potenza, di bicicletta e ascensione. Pantani era attacco e sentenza, quella della salita, quella della fatica, quella della meraviglia degli scalatori.

Pantani recuperò tutti gli avanguardisti, scollinò primo sul passo, si buttò in discesa ed era pronto a percorrere in solitaria quei chilometri che mancavano al traguardo se l’ammiraglia non gli avesse consigliato di aspettare Indurain che lo seguiva a una cinquantina di secondi. Evgenji Berzin intanto si era perso nell’impresa impossibile di resistere agli scatti del romagnolo. 

Sull’Aprica Miguel Indurain e Cacaito Rodriguez rientrarono, in tre se ne andarono per tentare sovvertire l’ordine della classifica. Indurain si mise avanti a fare ritmo, nel tentativo di fiaccare le ambizione del ragazzo di Cesenatico. Pantani non si fece impressionare e scattò, di nuovo. E fu ancora assolo. Indurain tentò di accelerare, ma le sue ruote sembravano fermate dall’asfalto. Pantani diventava un puntino, diventava una visione e una dannazione per lo spagnolo.

All’Aprica dietro a lui non c’era nessuno solo due montagne divenute culle e palcoscenici, teatri di un qualcosa che poche volte si era visto nella storia del ciclismo. Di una bellezza assoluta, impossibile da pareggiare.

 

Pantani quel giorno conquistò la seconda vittoria di fila nel secondo tappone di fila, salì al secondo posto, dietro a Berzin e davanti a Indurain. Così finì a Milano, primo podio, ma nel volto la consapevolezza che quel gradino in più l’avrebbe conquistato prima o dopo.

Vincitore: Evgenji Berzin in 100 ore 21 minuti e 21 secondi;

secondo classificato: Marco Pantani a 2 minuti e 51 secondi; terzo classificato: Miguel Indurain a 3 minuti e 23 secondi;

chilometri percorsi: 3.721.