Il Giro olimpico di Silvio Martinello: meno 21 al Giro100
L'edizione del 1996 partiva da Atene in onore dei cent'anni della prima Olimpiade dell'èra moderna. Sotto il Partenone il velocista padovano si vestì di rosa. Ad Atlanta, novanta giorni dopo, conquistò la medaglia d'oro in pista
Il sogno di Vincenzo Torriani era Olimpia. Aveva tentato per anni di far partire il Giro da lì, dai resti della città che era stata teatro di quelle celebrazioni atletico-religiose che ora sono state tramutate nell’evento mediatico delle Olimpiadi. Gli avevano prospettato la possibilità di altre partenze da lidi greci, ma la risposta era sempre stata: “O Olimpia o niente”. Fu niente.
Carmine Castellano si era occupato di tutta l’organizzazione del Giro dal 1989, aveva sostituito Torriani come patron nel 1993 e quel senso scenico della partenza dalla Grecia gli era rimasto impresso. Tanto più che era il 1996, ricorrevano cent’anni dalle prime Olimpiadi moderne e quelle vere le avevano appaltate ad Atlanta, America, nuovo mondo. Carmine Castellano era però avvocato di formazione e professione e quindi uomo abituato all’eloquenza e alla mediazione. Per questo barattò Olimpia con Atene, l’origine dei Giochi con uno dei più incredibili scenari dove far partire la corsa Rosa: sotto il Partenone. Tre tappa: Atene, Lepanto, Giannina, poi ritorno in Italia attraverso l’Adriatico, ripartenza da Ostuni.
Era il 18 maggio 1996 e l’avvio del Giro fu ponte spaziotemporale che unì la capitale della Grecia con la sede delle Olimpiadi. Che congiunse dischi e giavellotti con le due ruote a pedali, che unì Silvio Martinello con Silvio Martinello. Silvio Martinello aveva un solo obiettivo per quell’anno: le Olimpiadi, la corsa a punti. Il resto poteva anche essere eliminato. Non che si tirò mai indietro nel fare qualcosa, ma la medaglia olimpica era traguardo di una vita per uno come lui che alla strada alternava la pista, che alla velocità sull’asfalto preferiva quella sull’anello. Era il 18 maggio 1996 e lui aveva un solo compito: aprire la strada a Mario Cipollini, lanciargli al meglio la volata, spianargli il terreno per la vittoria. Tra Mario e Silvio quell’anno però i rapporti non erano più eccezionali. Cipollini era SuperMario e quando i risultati non arrivavano si sentiva meno Super e il suo umore tendeva al nero, andava coccolato e motivato, anche se a volte sembrava impossibile. Sembrò impossibile pure a Martinello, che gli era stato apripista fedele per due stagioni, ma che quel giorno, dopo aver sentito il capitano dire “non ho le gambe”, decise di non insistere nel convincerlo e pensare per sé.
Così sotto il Partenone, in quel maggio ateniese, Silvio Martinello da lanciatore si tramutò in lanciato, da frangighiaccio si tramutò in panfilo, da assistman in goleador. Sul rettilineo d’arrivo lasciò la ruota di Nicola Minali quando capì che era quella sbagliata e si librò da solo come dardo verso il bersaglio dell’arrivo. Rimontò, superò, vinse. Successo e Maglia Rosa, primattore e primatista. Tripudio che diventò preludio, perché novanta giorni dopo in America la sua ruota fu più lesta di quella degli altri e l’azzurro della maglia non si trasformò in rosa, ma al collo apparve una medaglia d’oro, quella olimpica.
Vincitore: Pavel Tonkov in 105 ore 20 minuti e 23 secondi;
secondo classificato: Enrico Zaina a 2 minuti e 43 secondi; terzo classificato: Abraham Olano a 2 minuti e 57 secondi;
chilometri percorsi: 3.990.
sotto la tour eiffel