Andrea Agnelli (foto LaPresse)

Nuovo processo mediatico alla Juventus

Redazione

L’Antimafia in cerca di visibilità punta Agnelli, ma senza una prova

“Sulla vicenda-biglietti, che coinvolge la Juventus, mi sembra si stia facendo un processo mediatico”. La frase non è di un dirigente bianconero, né di un tifoso, ma è stata pronunciata dal direttore generale della Federcalcio, Michele Uva. Che, per chiarire il proprio pensiero, ha anche aggiunto: “Mi sembra che l’Antimafia stia facendo un processo molto mediatico e questo non fa bene né al calcio, né tantomeno all'Italia”.

 

Il riferimento, per chi non sapesse di cosa stiamo parlando, è alla vicenda dei rapporti tra il presidente della Juve, Andrea Agnelli, un ultras che sarebbe legato, in modi che un processo penale sta cercando di definire, alla ’ndrangheta. Secondo l’accusa Agnelli, avrebbe trattato con lui la vendita di biglietti consapevole di avere a che fare con un presunto boss mafioso.

 

Il presidente della Juventus è stato già deferito dal procuratore federale (giustizia sportiva), ma “l’odore di ’ndrangheta” ha scatenato il presidente dell’Antimafia, Rosy Bindi, che si è subito affrettata a convocare i vertici della Juventus.

 

È bene sapere che a provare la “consapevolezza” di Agnelli sarebbe un’intercettazione telefonica, secretata, che non risulta agli atti. Non solo, a parlare non sarebbe il presidente ma due dirigenti della Juventus. Sul Foglio abbiamo già raccontato di come Rosy Bindi, tra calcio e cacce ai massoni, abbia trasformato la Commissione in una sorta di reality show dove la fuffa diventa realtà. Lei, ieri, si è molto arrabbiata per le parole di Uva. Ma come dovremmo definire un’indagine fatta da un organismo istituzionale (che non è un tribunale), sulla base di intercettazioni dubbie che arrivano sui quotidiani quando i diretti non ne sanno niente, con un processo penale in corso in cui la Juve non è coinvolta? A noi vengono in mente solo due parole: processo mediatico.

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