La copertina dell'International cycling sport del febbraio 1970

L'incosciente avanguardia di Michele Dancelli: meno 48 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Il Giro d'Italia del 1970 lo vinse per la seconda volta Eddy Merckx, ma furono le fughe del corridore lombardo a rendere spettacolare quell'edizione

Erano talmente abituati a vederlo davanti con il gruppo alle spalle ad inseguirlo che un giorno Bruno Raschi, arrivato all’arrivo a tappa già iniziata da un pezzo, avesse chiesto, “chi c’è in fuga?”, e alla risposta di un collega che elencò i corridori, stupito rispose: “Davvero? E Dancelli?”. E’ in gruppo. “Impossibile”, esclamò un po’ seccato. Quella tappa del Giro del 1970 era partita da Rivisondoli, si arrampicò sul San Leonardo e sulla Majelletta, prima di prendere la via di Francavilla al Mare. E così quando alla radio dissero che il gruppo era compatto al termine della discesa dell’ultimo Gran Premio della Montagna, Bruno Raschi esclamò: “Peccato era la sua tappa”. Lo fu lo stesso. Perché Dancelli decise che il pedalare in compagnia non era cosa gradita per uno come lui e su di una collinetta come ce ne sono tante in Abruzzo decise di staccare tutti e percorrere quegli ultimi quaranta chilometri da solo. E quando arrivò a Francavilla al Mare con nessuno alle spalle, Bruno Raschi si girò verso il collega e gli disse: “L’avevo detto che era una tappa per Dancelli, perché quasi tutte le tappe sono per Dancelli”.

Michele Dancelli poteva qualsiasi cosa. Aveva spunto e precedeva i velocisti, aveva velocità e batteva i velocisti, aveva scatto e quando il terreno era un su e giù di colline sapeva fare la differenza, aveva soprattutto coraggio e tanto. Le distanze per lui erano un’opinione. E un’opinione da vivere avanti a tutti gli altri. Era avanguardia ogni volta che l’occasione si presentava e l’occasione si presentava quasi sempre.

Dancelli che al Giro dell’Appennino decide di farsi novanta chilometri da solo per non rischiare di perdere allo sprint; Dancelli che al Tour del 1969 sul Col de Cou prova il volo, si trova sulla ruote Andres Gandarias che non molla un metro e per non rischiare di perdere lo lascia a un chilometro dall’arrivo, prova l’allungo e gli dà quattro secondi; Dancelli che scatta a settanta chilometri dall’arrivo della Milano-Sanremo del 1970 e non lo prendono più;  Dancelli che la vita del professionista sì, ma a volte le donne sono irresistibili; Dancelli che o la va o la spacca e a “dar battaglia o lo si fa all’inizio della tappa o alla fine che gusto c’è”. Dancelli che non lo spaventava niente, neppure la Marmolada sopra la testa.

 

E così il 5 giugno del 1970 ripreso Zilioli che era in fuga dal mattino si ritrovano in sei prima del rettilineo finale, quel chilometro che sembrava verticale. Merckx e Gimondi iniziano a scattarsi in faccia, uno dopo l’altro. E’ una sfida, un testa a testa. Dancelli però non ci sta a fare da spettatore e si mette in mezzo al teatrino. Con la determinazione si porta su Merckx, con l’incoscienza gli scatta in faccia. Il belga e il bergamasco si guardano, aspettano una mossa dell’altro. Ma ormai è tardi. Dancelli è ormai un punto colorato sulla strada che si inerpicava verso le nuvole. Quarta vittoria in quel Giro, tre per distacco o per fuga, uno allo sprint. Perché Dancelli tutto poteva, quando non esagerava con l’incoscienza.

 

Vincitore: Eddy Merckx in 90 ore 8 minuti e 47 secondi;

secondo classificato: Felice Gimondi a 3 minuti e 14 secondi; terzo classificato: Martin Vandenboscche a 4 minuti e 59 secondi;

chilometri percorsi: 3.292.