Cristiano Ronaldo (foto LaPresse)

Non sono tutti Cristiano Ronaldo. Una ricerca smonta il mito del calciatore ricco e famoso

Francesco Caremani

Uno studio di FIFPro, il sindacato mondiale dei calciatori professionisti, evidenzia il 45,3 per cento dei calciatori professionisti guadagna meno di 1.000 dollari il mese

Il quarto stato nel calcio esiste. Non conquista le copertine, non è intervistato, non ha visibilità ma è molto più diffuso di quanto si pensi. E nessuno se lo immagina com’è stato dipinto dallo studio di FIFPro, il sindacato mondiale dei calciatori professionisti, presentato a Londra e pubblicato online. I dati sono il frutto di 14.954 questionari che i calciatori di molti Paesi hanno riempito anonimamente, a parte rare eccezioni: 13.876 fra Europa, Africa e America, di 87 campionati; 1.078 di otto Paesi tra Asia e Oceania. Non sappiamo quanto il campione possa essere significativo dato che solo in Italia i professionisti sono circa 15.000, però quello che emerge è un quadro desolante dove una piccolissima percentuale guadagna tanto e ha sicurezze contrattuali, mentre il resto si arrangia, tra ritardi nei pagamenti, impossibilità di scegliere dove giocare, violenze e molestie di ogni genere, soprattutto da parte dei tifosi.

Il calcio che va in copertina sui quotidiani, secondo i dati elaborati dall’università di Manchester per FIFPro, rappresenta solo il 2 per cento del totale dei calciatori professionisti nel mondo, quelli che guadagnano in media 720.000 e più dollari l’anno: e sono i giocatori che fanno parte della Mls, il massimo torneo americano, del campionato cinese, delle più importanti leghe europee e dei top club messicani. E l’esposizione mediatica non è slegata dall’aspetto economico, anzi: le competizioni più seguite, meglio remunerate, richiamo i giocatori più forti, ergo meglio pagati, coloro che vincono i trofei, di squadra e personali, coloro che i giornali sportivi raccontano quotidianamente, i siti in modo ancora più parossistico, dallo spogliatoio alla macchina di lusso, dalla fidanzata trofeo all’acconciatura dei capelli. Dati che stridono con quelli pubblicati dalla Fifa nel 2015, dai quali si evince che lo stipendio medio dei calciatori professionisti si attesta sui 47.000 dollari mensili.

 



 

Un fenomeno simile a quanto accade nel tennis dove, esclusi i Fab Four (Murray, Federer, Nadal e Djokovic), gli altri sono costretti a giocare quasi tutto l’anno nei vari circuiti per guadagnarsi la pagnotta. Secondo il report di FIFPro il 45,3 per cento dei calciatori professionisti guadagna meno di 1.000 dollari il mese (circa 950 euro), in Brasile è l’83 per cento a non guadagnare più di quella cifra, mentre nella serie B greca lo stipendio è fissato a 400 euro mensili. Si scopre inoltre che di quelli in attività solo il 5 per cento ha più di trentatré anni. Solo il 58,7 per cento è pagato regolarmente contro il 41 che ha subìto come minimo un mese di ritardo, un anno per i meno fortunati. Poi c’è l’aspetto contrattuale e si scopre che in Croazia il 94 per cento dei calciatori risulta lavoratore indipendente, cioè senza contratto, una situazione abbastanza comune in Africa e America centrale. E l’Est Europa è considerato il vero far west. Ovviamente la mancanza di contratti aumenta la possibilità di essere pagati in ritardo o non essere pagati affatto.

Cifre paragonabili a situazioni d’indigenza, anche se è abbastanza evidente come prendere 300 dollari al mese in Congo sia un’altra cosa rispetto a percepirli che negli Stati Uniti – che insieme a Scandinavia e Australia sono i paesi dove le regole federali e contrattuali sono maggiormente rispettate. Cifre che diventano terreno fertile per le scommesse clandestine e questi giocatori più appetibili per i network criminali internazionali che cercano di addomesticare i risultati delle partite: l’11 per cento ha dichiarato, anonimamente, di essere stato avvicinato da qualcuno per truccare un match. Il report ci dice poi che la media dei contratti è di 22,6 mesi, che i contratti più brevi sono quelli pagati meno e che chi ha un procuratore ha uno stipendio più alto. Ben il 29 per cento, infine, è costretto a cambiare casacca contro la propria volontà. Certo non capita ai calciatori che vediamo noi, ma quella è l’alta borghesia del football, quella dei paradisi fiscali per intenderci, mentre nascosto tra le pieghe del gioco più bello del mondo c’è un quarto stato che soffre.

La parte più triste è quella che riguarda i vari tipi di violenze subite. Almeno il 10 per cento dei giocatori ha subìto violenza fisica, almeno il 16 per cento è stato minacciato, il 15 è stato vittima di bullismo o molestie, e il 7,5 di discriminazione sessuale, religiosa o etnica. Il 38 per cento dei calciatori professionisti le subisce dai tifosi il giorno della partita, il 22 da altri giocatori, il 17 dai tifosi durante la settimana, il 13 dagli allenatori, il 10 per cento da altri. Poi c’è il mobbing che riguarda l’essere messi fuori rosa, l’impossibilità di allenarsi, di non poter cercare un’altra squadra e, in questi casi, la quasi sicurezza di non ricevere lo stipendio. E gli infortuni? Lo dice bene un centrocampista ghanese: “Quando stai male fisicamente non esisti più, nessuno ti cerca o ti chiama, solo quando sei guarito torni a vivere dentro il club”.

E in Italia? I calciatori intervistati sono stati 270, tra serie A, B e Lega Pro. Solo il 6 per cento guadagna più di 100.000 dollari il mese, il 16,2 tra i 1.000 e i 2.000 dollari, il 28,8 tra i 2.000 e gli 8.000. Il 59 per cento denuncia l’impossibilità di cambiare squadra, mentre il 7 per cento ha subito violenza da parte dei tifosi, il 32 è stato minacciato e il 3 per cento avvicinato per truccare una partita. Percentuale bassa visto gli scandali degli ultimi anni. Il 3 per cento dei giocatori non possiede una copia del contratto, questa invece è una cifra alta visto che stiamo parlando del calcio professionistico tricolore e non di qualche Paese africano.

Insomma, da una parte l’alta borghesia che, alla luce delle ultime inchieste, evade milioni di euro di tasse mandando i propri capitali nei paradisi fiscali, dall’altra il quarto stato che sogna di diventare borghesia ma che vive in condizioni di scarsa dignità professionale rischiando di giocarsela del tutto attraverso i bookmaker criminali.La testimonianza più forte è quella di Michael Uchebo, attaccante nigeriano di ventisei anni del Boavista dove è arrivato nel 2014. Dopo un inizio difficile è stato messo fuori squadra, non è stato fatto allenare e si sono dimenticati di pagargli lo stipendio. Tra promesse di essere venduto e comportamenti kafkiani la telenovela si sta trascinando: “Mi trattano come uno schiavo e non capisco il perché” ha detto Uchebo a FIFPro. Mentre Geremi, centrocampista camerunense, ex Real Madrid e Chelsea, record di presenze con la propria Nazionale, oggi presidente del sindacato calciatori nel proprio Paese, sottolinea come queste condizioni non fanno che creare l’humus adatto per la corruzione e le scommesse clandestine.

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