Mati Fernandez con Vincenzo Montella ai tempi della Fiorentina (foto LaPresse)

Mati Fernandez e lo scippo del Milan. Più che calciomercato un caso di sopravvivenza

Giovanni Battistuzzi
Il centrocampista cileno ex Fiorentina doveva andare al Cagliari prima che il suo ex allenatore a Firenze, Vincenzo Montella, lo chiamasse in rossonero. Una storia già vista. Da Zoff a Robson, quando il richiamo del proprio vecchio allenatore diventa irresistibile. La lezione di Valcareggi.

Il #calciomercatoday, con tanto di hashtag per cercare di rendere evento l'ultimo giorno utile per tesserare e vendere giocatori da parte dei club di serie A, si è chiuso senza gli agognati colpi. Alex Witsel, centrocampista della nazionale belga e dello Zenith di San Pietroburgo, è rimasto dov'era senza approdare alla Juventus. Così come Jack Wilshere,  mediano dell'Arsenal, che ha preferito rimanere in Premier League piuttosto che firmare con la Roma. Segnali della marginalità del nostro campionato nel contesto europeo, nonostante gli acquisti di Higuain da parte dei bianconeri e di Gabriel Barbosa, autodefinitosi Gabigol, e Joao Mario da parte dell'Inter. I giocatori più importanti se ne restano altrove, a noi rimangono le briciole e i ricordi di una grandezza che fu. E così il 31 agosto ha vissuto di trasferimenti di secondo piano, tesserine marginali da inserire in squadre già praticamente definite. Se l'attrattività internazionale manca, così come le risorse finanziarie ecco che una trattativa confusionaria e sorprendente come quella che ha portato il centrocampista della Fiorentina Mati Fernandez al Milan diventa un caso, un evento.

 

Il cileno sa giocare bene il pallone coi piedi, ha visione di gioco e capacità di stare in campo, ma non è un giocatore che può trascinare una squadra alla vittoria. Non è un campione, nemmeno un grande giocatore. Utile certo, soprattutto ai rossoneri che in questi anni sono solo la brutta copia della grande squadra di un tempo, essenziale no. Fernandez è però stato il caso, il nome dell'ultima giornata di calciomercato. Il suo viso da indio è il volto di una beffa, quello di un voltafaccia. Mati si era promesso al Cagliari, con gli isolani aveva trovato un accordo, era ormai pronto a raggiungere il capoluogo sardo. Ha invece preso la direzione di Milano. Piazza sicuramente più gloriosa, sicuramente più importante. Una decisione che avrebbe compiuto chiunque probabilmente. Soprattutto se sulla panchina della futura squadra c'è il proprio mentore, quel Vincenzo Montella che lo ha esaltato nelle tre stagioni alla Fiorentina.

 



 

Come Fernandez, prima di Fernandez, Dino Zoff. E l'accostamento anche se stride non è inappropriato. Il futuro numero 1 della nazionale nel 1963 era una giovane speranza del calcio italiano. Veniva da un'ottima stagione in serie B con l'Udinese e molte squadre si erano messe in contatto con i friulani per l'acquisto. L'allora presidente Dino Bruseschi aveva quasi chiuso con la Roma per 28 milioni di lire quando il giocatore si presentò in presidenza. Luigi Bonizzoni, l'ex allenatore dell'Udinese, lo voleva a Mantova, sua nuova squadra. Bruseschi disse che ormai era della Roma e che si doveva rassegnare. Zoff se ne andò. Dopo un'ora lo contattò il presidente: "Sei del Mantova, ti ho voluto far felice". Una bugia che diventa pubblica pochi mesi dopo. I lombardi, convinti dalle insistenze del proprio allenatore avevano offerto due milioni in più e così il proprietario dei bianconeri aveva stracciato il precontratto con la Roma e aveva assecondato volentieri la volontà del giocatore.

 

Zoff fu ignaro e maldestro precursore di una serie di casi di mercato. Una storia soprattutto inglese. Era il 1974, David Webb era uno dei giocatori più importanti del Chelsea e tra i migliori difensori del campionato inglese. A Londra però le cose non andavano bene, la squadra, dopo i successi a cavallo tra i Sessanta e Settanta, era sull'orlo del fallimento e servivano risorse per sistemare la situazione. Brian Mears, allora presidente dei Blues, era pronto a cedere per 120 mila sterline il difensore centrale all'Arsenal. Webb, scoperta la notizia andò su tutte le furie. Si narra che si presentò negli uffici dell'uomo d'affari con una spranga minacciando di usarla sulla sua testa se l'avesse venduto. A sistemare la questione ci pensò Dave Sexton, ex allenatore del Chelsea da poco passato al Queen's Park Ranger. Webb minacciò di nuovo il presidente dicendo che avrebbe fatto le valigie solamente per seguire il tecnico che lo aveva fatto diventare un grande giocatore. Questo accadde. Una settimana dopo Mears e il presidente del Qpr trovarono l'accordo: nelle casse dei Blues entrarono in ogni caso le 120 mila sterline già pattuite con l'Arsenal e il club evitò così il fallimento, ma non la retrocessione che arrivò nella stessa stagione.

 

Webb fu precursore, Bobby Robson il più celebre interprete. Il centrocampista inglese aveva appena vinto il premio come miglior giovane della prima divisione inglese, aveva appena debuttato in nazionale quando il suo mentore, l'allenatore Ron Atkinson, decise di abbandonare il West Bromwich Albion per approdare al Manchester United. I Red Devils erano la brutta copia della squadra che dominò il calcio inglese negli anni Settanta e cercavano nel tecnico l'erede del grande Matt Busby, l'allenatore della prima Coppa dei Campioni. Atkinson fa un solo nome per la campagna acquisti, quello del talento Robson. I dirigenti però gli dicono che è una missione impossibile: ha già firmato con il Liverpool. WBA e i Reds erano d'accordo su tutto, le carte erano già pronte, mancava solo la firma del giocatore. Il problema era uno solo: dov'era il giocatore? Non si trovava. Si palesò lui stesso il giorno dopo, minacciando di starsene in vacanza tutto l'anno se non fosse stato ceduto allo United. Il giorno dopo arrivò un emissario del Manchester con 1,5 milioni di sterline (cifra record per l'epoca) per chiudere l'affare: Bobby diventò il giocatore con più presenze da capitano della storia dei Red Devils.

 



 

"Ci sono giocatori che hanno scorza, altri che devono farsela, altri ancora che non ce l'avranno mai. Per essere un grande atleta non bastano le doti col pallone, serve soprattutto questa", disse alla Gazzetta l'ex allenatore dell'Italia Ferruccio Valcareggi nel 1975 a proposito di Francesco Canella, promettente attaccante che lui aveva lanciato nel 1962 alla Fiorentina ma che non riuscì mai a sfondare. "Aveva un talento sopraffino e credo che se non fossi andato ad allenare la Nazionale e lui fosse rimasto con me sarebbe diventato un grandissimo. Il problema è che chi non ha scorza ha bisogno di una guida. E' un fattore umano – continua –, di sensibilità. Per questo molti giocatori seguono i loro allenatori e solo con loro si esprimono al massimo. Chi se la fa poi riesce a farsi una carriera, gli altri spariscono".