Quanto sono ingiuste e inutili le accuse a Nibali

Giovanni Battistuzzi
Lo Squalo si è staccato mercoledì nella prima tappa di media montagna del Tour de France. In questi giorni è stato attaccato da commentatori e tifosi che lo hanno rimproverato di aver disonorato la corsa e la nazione. Il paradosso di chi chiede un ciclismo immacolato e poi taccia di infamia chi risparmia energie per gli obiettivi futuri.

Il Massiccio Centrale è stato il teatro del grande disamore. Lì nel Cantal, tra le alture che movimentano il centro geografico della Francia, il gruppo del Tour si arrampicava mercoledì per la prima volta oltre i mille metri. Lì nel Cantal, verso il Pas de Peyrol, a poco più di trenta chilometri dall'arrivo di Le Lioran si è consumato il grande strappo. Quello tra chi ha cantato le lodi dello Squalo in maglia rosa al Giro, chi ne ha applaudito le gesta, gridando al miracolo sportivo e Vincenzo Nibali stesso. Il contendere è quanto accaduto in quei 5,4 chilometri a salire verso i 1.589 metri del passo. Il gruppo tirato dagli spagnoli della Movistar che accelera per testare la condizione di chi punta al podio. I compagni di Nairo Quintana, uno dei favoriti con Chris Froome per la vittoria finale, salgono forte, i migliori della classifica sono tutti lì, solo la maglia gialla Peter Sagan fatica, si stacca. Sembra ordinaria amministrazione per gli altri quando una maglia azzurra dell'Astana si allarga, alleggerisce il rapporto, si lascia sfilare. Arriverà otto minuti dopo il gruppo. Dirà: "Tutto normale, ho nelle gambe lo sforzo del Giro d’Italia. Era nei piani che venissi qui per aiutare Aru, non ci sono problemi. Inoltre manca ancora un mese all’obiettivo olimpico, la prova in linea di Rio. Non sono preoccupato, sono fiducioso che riuscirò ad aiutare Fabio in salita e a trovare la migliore condizione in vista di agosto".

 

 

Tutto normale però non lo è. Perché Vincenzo nella normalità di questo sport non c'è mai entrato, prima nel male, quando non riusciva a vincere, dopo nel bene, quando ha conquistato una Vuelta, un Giro, un Tour, un Giro di Lombardia e, notizia di un mese fa, è riuscito a bissare il successo del 2013 nella corsa rosa. E così una débâcle momentanea è diventato caso diplomatico tra il mondo degli italici appassionati di ciclismo e il suo alfiere e portabandiera. "E' stata una mancanza di rispetto per il Tour e il ciclismo tutto"; e poi: "Nibali ha disonorato il nostro paese"; e ancora: "Se è venuto in Francia per fare villeggiatura poteva starsene a casa".

 

Un mese dopo le imprese di Risoul e Sant'Anna di Vinadio e del trionfo di Torino le lodi si sono trasformate in critiche, gli applausi in schiaffoni, gli evviva in dita inquisitorie puntate. Tutto per quei otto minuti persi in una tappa di media montagna, una di quelle che non dovrebbero infliggere grandi distacchi. E poco importa se Nibali avesse avvisato tutti già prima della partenza di non voler puntare alla vittoria e nemmeno al podio; che avrebbe aiutato il giovane compagno Fabio Aru, talento sardo pronto a occupare per anni i podi dei grandi giri; che al massimo avrebbe tentato qualche fuga per vincere almeno una tappa; che la Francia era solo un intervallo nell'avvicinamento all'appuntamento olimpico agostano di Rio.

 

E così lo Squalo si è trasformato nel grande traditore, quello che non si impegna, quello che non ha fatto abbastanza. Un gesto intelligente, di furbizia agonistica – perché se non si hanno obiettivi di classifica spendere inutilmente energie per rimanere nel gruppo di testa è autolesionismo – si è tramutato in lesa maestà. Il che è un paradosso. In un ciclismo accusato ancora di essere un farmacia in movimento, di andare avanti a sostanze illecite e motorini dentro i telai, messo alla berlina da accuse molto spesso infondate e da sospetti continui, accusare un campione che per abnegazione e professionalità è sempre stato esempio di aver disonorato il nostro movimento ciclistico e la nazione tutta per essersi staccato in una tappa qualsiasi è assurdo. Nibali ha perso terreno perché era il caso di farlo, perché in un ciclismo come quello moderno colmo di appuntamenti e prossimo all'appuntamento olimpico ogni energia risparmiata è un punto a favore.

 

Mancano oltre due settimane alla fine del Tour de France, ci saranno salite da scalare e fughe da agguantare. Nibali ha tempo e capacità per stupire e per cogliere i risultati a cui ambiva alla partenza di Mont-Saint-Michel, cioè una tappa, non la vittoria finale. Tutto il resto, considerazioni e accuse sono una mancanza di rispetto per un corridore che in questi anni ha salvato il movimento ciclistico italiano da un anonimato, questo sì, irrispettoso per un paese che è stato per anni dominatore assoluto.

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