Mauro Zarate osserva i compagni del West Ham e gli avversari del West Bromwich Albion giocare a “Chi ha paura dello sparviero?” (LaPresse)

Il bello del calcio e la fretta dei pigri

Jack O'Malley
I maestri del pronostico sono già stati smentiti, gli stregoni dei big data ci dicono ovvietà che soltanto la Uefa potrebbe pubblicare, e i turchi non giocheranno in Russia. Chissenefrega

Londra. Non è un granché la Premier League quest’anno, è vero, ma questo la rende divertente almeno per chi ogni giorno deve riempire pagine di carta e web raccontando di calcio. Adesso che il livello del football europeo si è orrendamente inabissato a livelli da Ligue 1, adesso che ancora stiamo a discutere, dopo quasi un decennio, se sia più forte Messi o Cristiano Ronaldo, adesso che in Champions League si qualificano prime nei gironi squadre che faticano in campionato e seconde squadre che invece in campionato vanno bene (sì, ce l’ho con quei cialtroni del Manchester City), adesso che siamo ancora lì a indovinare se la Champions la vincerà il Barcellona o il Bayern (se non si incontrano prima della finale), insomma adesso che la realtà è quella che è, i giornalisti sportivi hanno bisogno di retorica e “favole” quasi quanto Aldo Cazzullo in un giorno normale. Cade a pennello – come direbbero a Rai Sport – la storia di Jamie Vardy. Segnare per undici partite di fila non è un caso, ma Jamie è nato a Sheffield quando io già bazzicavo i pub della città da qualche decennio, e allora tutto è perfetto: gioventù operaia, esordio in Premier League a 27 anni, e il Manchester United nel destino, per dirla come in un pigro servizio televisivo: primo gol nella massima serie un anno fa al Manchester United, e undicesimo di fila quest’anno proprio contro il Manchester United, a stabilire un nuovo record superando le dieci partite di fila in gol di Van Nistelrooy. Che giocava nel Manchester United. Il Leicester probabilmente chiuderà la stagione sesto o settimo, potete scommetterci.

 

In assenza di favole da raccontare si rischia grosso. Appena un paio di mesi fa i giornalisti sportivi italiani avevano già deciso tutto: la Juventus troppo lontana anche solo per pensare di avvicinarsi alle prime, la panchina del Napoli che presto sarebbe stata occupata da qualcun altro, il Bologna già retrocesso, la Roma lanciata verso lo scudetto e così via. Adesso tutto è ribaltato, e si potrebbe dire – a essere buoni – che è il bello del calcio, ma anche – a essere realisti – che è la fretta dei pigri. Rappresentazione perfetta di questa schizofrenia sono i commenti sul Milan: dopo ogni sconfitta “è crisi”, “Sinisa traballa”, “i rossoneri non sanno più vincere”. Basta una vittoria e “il Milan guarda l’Europa”, “Sinisa punta in alto”, “Milan, che spettacolo”. Ieri sulla home page della Gazzetta si leggevano in contemporanea una esaltazione della linea verde dei rossoneri, capaci di crescere e valorizzare talenti, e poco più sotto una lamentela sulla scarsa visone della società rossonera che si fece sfuggire Aubameyang. Coraggio, siamo solo a dicembre. E noi almeno abbiamo vinto la Coppa Davis.

 


Alice Goodwin, fidanzata (per quanto?) di Jermaine Pennant, soffre da tempo di fastidiosi mal di schiena. Qui la vediamo mentre fa ginnastica posturale sul divano di casa.


 

Guardo con tenerezza il tentativo della stampa sportiva di occuparsi di cose molto serie come lo scazzo geopolitico fra Russia e la Turchia, ma in questi casi spesso capita che il risultato sia grottesco. E infatti leggo che la Russia ha interdetto le squadre della sua massima serie dall’acquisto di giocatori turchi, e già immagino direttori sportivi che bevono vodka disperati in qualche bar di Mosca, mentre stracciano le liste di fenomeni turchi che avevano nel mirino per il mercato di gennaio. Immagino anche la disperazione dei procuratori turchi, che bevono qualche cosa di tipico e verosimilmente analcolico in un bar di Ankara, stracciando le lunghe liste dei giocatori che con forza chiedono loro di essere piazzati in una squadra della Jacuzia. In pratica, uno dei campionati meno sensati della storia umana ha perso l’incredibile occasione di arruolare la versione scarsa di Hakan Sukur, ammesso che immaginare una cosa simile non violi il principio di non contraddizione.Ci sarà pure un motivo se l’unico giocatore turco del campionato russo è il 35enne Gökdeniz Karadeniz.

 

[**Video_box_2**]Per trovare sprazzi di nonsense non bisogna però scendere così in basso, basta dare un’occhiata alle analisi prodotte dalla Uefa. L’ultimo studio pubblicato dall’entità burocratica più dannosa dopo l’Unione europea ci informa che – cito dal titolo della Gazzetta che è addirittura “entrato in possesso” delle carte – “gli infortuni sono soprattutto muscolari”. Che i calciatori tendano a stirarsi gli adduttori più che a rompersi i femori è un’informazione certamente utile per chi ha vissuto su Alpha Centauri fino all’altro ieri, ma lo è anche per i preparatori atletici che si dilettano con i big data. E giù di analisi, grafici e sinusoidi che descrivono tendenze in controtendenza rispetto ai luoghi comuni, scoperte tali da rivoluzionare la vulgata. Oppure no. Magari non c’è nessun mito da sfatare e nessun allarme da lanciare. E in effetti dopo averci detto che gli infortuni muscolari vanno per la maggiore, il documento Uefa ci informa che gli infortuni in generale diminuiscono.

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