Il ct della Nazionale Antonio Conte (foto LaPresse)

Altro che Conte, il genio italiano è in Albania e nello spogliatoio dell'Arezzo

Gianni Giacomelli

Il bello dell’Italia è che basta una vittoria con l’Azerbaigian per trasformare il ct della Nazionale da scarto della Serie A riciclato in azzurro a salvatore della patria con sontuoso contratto da rinnovare dopo gli Europei, fino ai Mondiali e poi chissà.

Sassuolo. Il bello dell’Italia è che basta una vittoria con l’Azerbaigian – avete presente, no? – per trasformare Antonio Conte da scarto della Serie A riciclato in azzurro a salvatore della patria con sontuoso contratto da rinnovare dopo gli Europei, fino ai Mondiali e poi chissà. Tavecchio dice che “stiamo provando di tutto” per trattenerlo, mentre le decine di milioni di ct della Nazionale che abitano il paese reale osannano in coro l’uomo capace di espugnare la temibile falange di Baku. E chissenefrega, sia detto fra noi, se ha una media punti perfino peggiore di quella di Prandelli, se scivoliamo giù nel ranking Fifa (che di per sé è il male assoluto, chiaro, ma questo è quello che passa il convento) se la squadra esprime un gioco equivalente a quello dell’Inter di Mancini in quanto a efficacia e spettacolo.

 

Nessuno tocchi quel genio di Conte, grida il popolo unanime mentre i soliti magistrati fanno perquisire le solite squadre per i soliti sospetti di reato, e forse tutto questo incensare e perquisire fa dimenticare che il vero genio italiano è espresso da Gianni De Biasi e dal suo sogno albanese. Lui che ha teorizzato che l’allenatore italiano è una “massaia che apre il frigo e non si lamenta perché manca questo e manca quello, ma organizza un buon piatto con ciò che trova”, che con definitiva caparbietà ha intasato invano di messaggi il padre di Adnan Januzaj per implorarlo di convincere suo figlio ad accettare la convocazione dell’Albania, non quella del Belgio, lui che fa “l’equilibrista sul filo che separa l’autostima dalla presunzione” rappresenta il modello del vero allenatore italiano.

 

[**Video_box_2**]Dietro di lui, a mezza ruota di distanza, c’è Ezio Capuano, il tecnico dell’Arezzo che, com’è ormai noto, ha riempito di insulti misti a minacce i suoi giocatori dopo una rovinosa sconfitta. La sfuriata è stata registrata da un giocatore che poi è stato messo fuori rosa e che Capuano, pescando nel meraviglioso bacino linguistico della curva, ha definito “un infame”. Come altro definirlo? Anche l’ultimo dei magazzinieri di terza categoria sa che lo spogliatoio è uno spazio sacro, sigillato e inviolabile, su quel conclave calcistico vige un extra omnes non scritto, dentro ogni parola è permessa e nemmeno una può trapelare all’esterno. La massaia che organizza un buon piatto con quello che trova può pure agitare il mattarello contro i suoi ragazzi, ma registrare e pubblicare ciò che avviene lì dentro come se la Repubblica delle Intercettazioni ci avesse convinto che tutto è lecito, quello non si può, è roba da infami.

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