Keisuke Honda (foto LaPresse)

Calcio e affari. Perché il Milan dovrebbe dare più spazio a Honda, ma non in campo

Giovanni Battistuzzi
Il trequartista del Milan con la sua Honda Estilo, la società di famiglia che gestisce il giocatore, i suoi affari e parte dei diritti d'immagine, oltre che le sponsorizzazioni personali ha un giro d'affari di qualche miliardo di euro. Ha acquisito anche una squadra austriaca per valorizzare i giovani delle sue scuole calcio e prepararli al calcio europeo.

Vedere il numero 10 in panchina fa sempre un certo effetto. Lo stesso che fa sentire parlare chi questa maglia la indossa al Milan. Keisuke Honda, trequartista giapponese dei rossoneri, è uno che si fa intervistare poco, quasi mai quando non ha da lamentarsi. Domenica sera lo ha fatto con un giornalista della televisione giapponese: "Non capisco perché sto fuori", ha detto dopo due panchine di fila e un inizio di campionato con più errori che spunti, in ritardo di condizione e affiatamento con i compagni, fuori luogo e senza neppure la voglia di spendersi per la squadra. Scelte dell'allenatore a parte, è la valutazione che il giocatore fa delle scelte societarie a risaltare nell'intervista: "A giudicare dagli ultimi anni penso sia chiaro che non si possa far ripartire questo club se non investendo tanto denaro come fanno al Psg o al City. O fai così, oppure occorre riesaminare la struttura della società. Dirigenza, allenatore e tifosi devono rendersi conto della situazione".

 

L'analisi è veloce, semplicistica: o si investe di più e meglio, oppure nel calcio moderno non si ha speranza di far bene in patria e in Europa. E' una litania già sentita, opinabile, ma questa volta il Milan farebbe bene a prestare attenzione, non tanto all'opinione quanto al personaggio perché se è vero che Honda come numero 10 un po' stona, altro discorso è il Keisuke uomo d'affari: da questo punto di vista nulla da eccepire, titolarità assoluta, niente panchina. Perché il giapponese è riuscito a creare una fortuna sfruttando la sua immagine, i suoi piedi e la tendenza tutta nipponica di idolatrare i loro conterranei espatriati.

 

Il trequartista del Milan è titolare della Honda Estilo, la società di famiglia che gestisce il giocatore, i suoi affari e parte dei diritti d'immagine, oltre che le sponsorizzazioni personali. Un giro d'affari di qualche miliardo di euro, differenziato in più settori. Quello calcistico innanzitutto. Oltre agli interessi di Keisu infatti la società gestisce una cinquantina di scuole calcio in Giappone e a giugno ha acquisito l'SV Horn, squadra della Regionalliga austriaca (la nostra LegaPro) per circa tre milioni di euro. Un investimento in prospettiva, legato principalmente a due fattori: il club ha uno stadio di proprietà e l'Austria ha norme piuttosto morbide in fatto di tesseramento di giocatori stranieri. La squadra verrebbe quindi utilizzata per svezzare i talenti nipponici nel calcio europeo per poi cederli a club più importanti. Il salto dalle scuole calcio al calcio professionista passerebbe quindi da una filiera completamente controllata dalla famiglia Honda, sia per quanto riguarda la formazione, sia per quanto riguarda la gestione contrattuale, considerando che la società di famiglia controlla un'agenzia di procuratori sportivi.

 

[**Video_box_2**]Questo non è tutto però. L'aumento di giocatori che giocano al di fuori dei confini nazionali incrementa un altro ramo della holding, quello turistico. Keisuke infatti possiede diverse agenzie di viaggi in tutto il territorio giapponese che permettono di viaggiare all-inclusive verso città d'arte e calcio con tanto di guide turistiche, sessioni di shopping e biglietti per lo stadio rigorosamente in tribuna centrale. E' il modello Hide, quello nato con l'ex patron del Perugia Luciano Gaucci con l'acquisto di Hidetoshi Nakata negli anni Duemila che, nonostante l'improvvisazione, fruttò diversi miliardi al club umbro. Ora Keisu lo ha messo a regime, sistematizzato, reso efficiente e fruttuoso. Serve a lui, serve anche al Milan, perché per i rossoneri il giapponese è stato un affare, almeno economicamente, che tra sponsor, merchandising e biglietti vale almeno una mezza dozzina di milioni l'anno.

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