Flavia Pennetta e Roberta Vinci si abbracciano al termine della finale di Flushing Meadows (foto LaPresse)

Una lezione di tennis (e molto più)

Redazione
L’impresa di Flavia Pennetta e Roberta Vinci agli Us Open, ovvero la rivincita della classe e della ragione sulle urla e sui muscoli

Non era mai successo che due tennisti italiani arrivassero a giocarsi una finale dello Slam. Ci sono riuscite Flavia Pennetta e Roberta Vinci, scese in campo sabato sera a New York per giocarsi gli Us Open.

 

Per farcela, le due pugliesi, «due atlete senza muscoli e centimetri impressionanti, hanno giocato un tennis delizioso, intelligente, vario, frastornando in semifinale la numero 1 e la numero 2 del mondo. Così riportando il tennis alla normalità, cioè a servizio, risposta, dritto, rovescio, volée» (Vincenzo Martucci) [1].

 

Stefano Semeraro: «È la rivincita di un tennis ragionato, molto made in Italy, che si è fatto strada nella tonnara di picchiatrici-urlatrici che è diventato il tennis moderno. Forse la più grande sorpresa dello sport di tutti i tempi (pensateci), probabilmente una delle imprese più esaltanti dello sport italiano, da conservare nello stesso scaffale dei trionfi del calcio, di Federica Pellegrini, di Valentino Rossi» [2].

 

Non è la prima volta che un’italiana conquista uno Slam (al momento in cui questo giornale va in stampa il match di New York non si è concluso). Nel 2010 Francesca Schiavone iscrisse il proprio nome nell’albo del Roland Garros. Martucci: «Ma la terra rossa è la nostra madre terra, dove crescono i tennisti, e dove la Schiavone ha giocato anche la finale del Roland Garros 2011 e la Errani quella del 2012, oltre che quella dei due trionfi Slam di Nicola Pietrangeli e di quello di Adriano Panatta. Ma il cemento, dove si disputano gli Us Open, è un campo più duro, sotto tutti i punti di vista, è un campo moderno, se vogliamo più globale» [1].

 

Flavia Pennetta, prima italiana nella storia a entrare nella «top ten», numero 10 nell’agosto 2009. Era stata già in semifinale a New York nel 2013 e quattro volte nei quarti (2008, 2009, 2011 e 2014) [3].

 

Prima d’ora Roberta Vinci non era mai arrivata nemmeno a una semifinale di un torneo dello Slam [3].

 

Andrea Tundo: «Tutto inizia sulle sponde di due mari, l’Adriatico e lo Ionio, che in Puglia distano appena 70 chilometri. È lo spazio che corre tra Brindisi e Taranto, dove Flavia e Roberta nascono a un anno di distanza. Quanto basta per potersi sfidare in singolare nei tornei giovanili e combattere fianco a fianco in doppio. Amiche per la pelle e per la racchetta, queste Sorelle d’Italia capaci di prendersi New York al crepuscolo della loro carriera, 33 e 32 anni. Iniziate al tennis dai papà, Oronzo e Angelo, nei circoli tennis delle due città» [4].

 

Riccardo Crivelli: «Sono fortissime, imbattibili e perdono soltanto quando si sfidano una contro l’altra: 11, 12, 13 anni, non esiste categoria d’età in cui non passino con il piglio delle dominatrici. E proprio le tante partite tra di loro, invece di rinfocolare la rivalità, accendono l’amicizia. Lontane da casa, insieme nelle nazionali juniores, perfino nelle stesse camere d’albergo, inseparabili. La consacrazione internazionale arriva con il successo al Roland Garros Under 18 nel 1998» [5].

 

Poi il salto nel professionismo. Semeraro: «Una faglia che le ha separate, complice l’anno di stop di Flavia per colpa del tifo. Roberta cambiò allora compagna di doppio, incrociando prima la francese Testud poi per anni formidabili Sara Errani, ma è sempre rimasta ad allenarsi in Italia, fra Roma e Palermo dove ha trovato il suo attuale coach, Francesco Cinà. Flavia per diventare grande è emigrata in Spagna. Si sono perse e ritrovate su questa rotta molto produttiva, dalla Puglia alla East Coast, incrociandosi nei tornei, aiutandosi in Fed Cup. Scambiando e mescolando sogni» [6].

 

«A 19 anni ho preso il tifo mangiando una forchettata di bianchetti crudi, olio e limone. Due settimane d’incubazione, 41˚ di febbre, 21 giorni d’ospedale. In quel periodo, avendo molto tempo per pensare, feci una scommessa con me stessa: dedicarmi al tennis anima e corpo per una stagione. Se non avessi fatto il salto di qualità, avrei smesso. Alla fine del 2002 ero la numero 93» (Flavia Pennetta) [7].

 

Crivelli: «Sarà così per qualche anno, con la Pennetta che scala subito le classifiche approdando a 22 anni tra le prime 50 del mondo, mentre la storia d’amore con lo spagnolo Carlos Moya, già numero uno del mondo, fa il giro planetario delle copertine, mentre Roberta brilla per talento ma non per risultati, o almeno quelli attesi, fermata spesso da un’innata timidezza» [5].

 

«Mi entusiasmai la prima volta che vidi su un campo, a Bari, un’adolescente bella come un’attrice tipicamente mediterranea, diciamo Antonella Lualdi, che tirava diritti e rovesci quasi fosse la Evert. “Mi pare incantevole, oltre che promettente”, dissi ad un mio ignoto coetaneo che seguiva sorridendo lo spettacolo. “Tanto carina che, avessi quarant’anni meno, mi proporrei non solo come suo coach, ma come suo sposo”. Il signore si presentò “Oronzo Pennetta, papà di Flavia”. Sono passati, da allora, una quindicina d’anni» (Gianni Clerici) [8].

 

[**Video_box_2**]Nel 2011 Roberta Vinci diventa la prima e unica giocatrice italiana a vincere in singolare un torneo Atp su ogni superficie, anche se il doppio continua ad essere la sua specialità [5].

 

Tre anni fa, mentre i suoi colleghi giocavano gli Us Open, Flavia Pennetta postava una foto col polso fasciato. Si era appena operata a Barcellona, era il 31 agosto del 2012. Era scesa fino al 166 posto nel ranking mondiale. «Se non torno subito tra le prime cento, smetto», prometteva [5].

 

Francesco Paolo Giordano: «Dietro quell’accenno di resa da parte di Flavia , c’era molto di più del semplice timore di non competere più ad alti livelli. A un certo punto, le delusioni le piombarono addosso una dietro l’altra. Come se a lanciarle fosse una macchina spara-palline, il “drago”, come lo chiama Agassi. Nel 2007, la brindisina si reca a Bastad, per fare una sorpresa al suo fidanzato Carlos Moya. Lo scopre con un’altra, e tanto basta per farla precipitare in uno stato catalettico. “Il pensiero mi consumava come un’erbaccia. La gente provava pietà per me e io non riuscivo a difendermi neanche da questo. Era come se avessi perso il gusto delle cose. Cercavo di anestetizzarmi nei confronti della vita, per non avvertire dolore. Non sentivo neanche quello fisico. Un esempio stupido: persino quando facevo la ceretta, non sentivo niente”» [9].

 

A inizio 2015, scoppia la coppia di doppio Errani-Vinci, e la discesa per quest’ultima sembra non finire più. Ad aprile, mentre la nazionale italiana di tennis rimane in serie A di Fed Cup battendo gli Stati Uniti di Serena Williams con la Pennetta eroina del punto decisivo, la Vinci, ufficialmente infortunata a un ginocchio, non è neppure in tribuna a fare il tifo [5].

 

Prima di questi Us Open Flavia Pennetta era la numero 26 del mondo, Roberta Vinci la numero 43 [2].

 

Vinci, un metro e 63 d’altezza per 60 chili. Pennetta, un metro e 72 per 58 chili [10].

 

Ci sono solo due giocatrici tra le prime 50 che giocano il rovescio a una mano, Roberta Vinci e Carla Suárez Navarro [11].

 

Clerici: «Flavia e Roberta giocano l’una il rovescio bimane, l’altra conserva un back-hand addizionale, un colpo insolito quanto elegante e efficace. Flavia è più attaccante dal fondo, Roberta pare addirittura attratta dalla rete, dove le volée non sono certo inferiori allo smash. È proprio la capacità di volleare ad aver fatto di Robertina una spalla ideale alla solidità nei rimbalzi di Sara Errani, consentendo alle due i grandi risultati nel doppio, addirittura 4 titoli di tornei Slam» [12].

 

Lea Pericoli: «Tecnicamente sono due atlete diverse. Roberta gioca il tennis di un tempo: fantasia, tocco, la perfezione della volée. Sembra uscita da un manuale classico. Flavia ha uno stile più moderno, ma quello che le accomuna è la grinta, l’impegno, la passione che mettono in quello che fanno. È straordinario poi vederle sempre protagoniste a 32 e 33 anni. La verità è che loro due sanno “ragionare” di tennis in campo, mentre le tante bambine prodigio di oggi spesso sanno solo picchiare tanto che finiscono per picchiarsi da sole» [13].

 

Apertura a cura di Luca D'Ammando

 

Note: [1] Vincenzo Martucci, La Gazzetta dello Sport 12/9; [2] Stefano Semeraro, La Stampa 12/9; [3] Gaia Piccardi, Corriere della Sera 12/9; [4] Andrea Tundo, il Fatto Quotidiano 12/9; [5] Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport 12/9; [6] Stefano Semeraro, La Stampa 10/9; [7] Gaia Piccardi, Corriere della Sera 1/12/2008; [8] Gianni Clerici, la Repubblica 12/9; [9] Francesco Paolo Giordano, Unidici 10/9; [10] Gianni Valenti, La Gazzetta dello Sport 12/9; [11] Fabio Severo, Unidici giugno 2014; [12] Gianni Clerici, la Repubblica 17/3; [13] Lea Pericoli, La Stampa 10/9.

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