L'allenatore della Fiorentina Paulo Sousa (foto LaPresse)

Rivoluzione Sousa

Beppe Di Corrado
Il vero caso di questa stagione calcistica potrebbe essere lui, e la Fiorentina che sta trasformando. E’ arrivato il 21 giugno, dopo la fine della storia tra Montella e la Viola. Nell’estate in cui tutti hanno parlato di Maurizio Sarri e di Sinisa Mihajlovic, Sousa ha vinto con il Barcellona e con il Chelsea.

Paulo Sousa comincia dal portiere. Cioè lo conta. Unico allenatore a farlo, quando parla di un modulo dice: “1-4-3-1-2” oppure “1-3-5-2”. E’ in parte un vezzo, è in parte sostanza. Perché con lui il portiere gioca. Come fa Neuer nel Bayern Monaco: partecipa all’azione, alla costruzione del gioco, alla manovra, alla fase offensiva prima che a quella difensiva. Sepe sta dieci metri più avanti rispetto alla posizione media dei portieri della serie A. Nei primi allenamenti, Sousa lo prendeva e gli spiegava tutto: che cosa vuole, ovvero dinamismo, attenzione, tecnica sufficiente a gestire la palla nelle situazioni complicate. Crede nella personalizzazione degli allenamenti, il nuovo tecnico della Fiorentina. E’ arrivato il 21 giugno, dopo la fine della storia tra Montella e la Viola. Nell’estate in cui tutti hanno parlato di Maurizio Sarri e di Sinisa Mihajlovic, Sousa ha vinto con il Barcellona e con il Chelsea. Amichevoli a togliere dai ricordi dei tifosi della Fiorentina l’idea che sia rimasto juventino. Perché per quello era stato accolto con scetticismo. Per quell’essere stato a Torino da giocatore che a Firenze sa ancora di impurità. Il ritiro, le partite, Bernardeschi, Rossi, i gol hanno cambiato molto. Sousa non esiste nei radar delle storie della serie A che sta cominciando, ma c’è. Perché è deciso, preciso, forte, comunicatore. E’ potenzialmente il vero caso di questa stagione.

 

A 45 anni ha già allenato il Queens Park Rangers, lo Swansea, il Leicester, gli ungheresi del Videoton, il Maccabi Tel Aviv, il Basilea. Ha vinto due campionati (israeliano e svizzero), tre coppe (due supercoppe e una coppa di Lega in Ungheria). In Svizzera l’anno scorso ha completato il lavoro fatto dal club con gli allenatori precedenti, portando la squadra per la prima volta tra i 15 team più prestigiosi d’Europa. Nel 2010 gli svizzeri si trovavano al 38° posto del ranking Uefa per club, 11 posizioni sotto la Juventus, 29 sotto il Milan e 30 sotto l’Inter, vincitrice del Triplete con José Mourinho. In questa stagione, grazie ai risultati degli ultimi anni, compreso quello di Sousa, partirà dalla posizione numero 15, forte di un incremento del 72 per cento del proprio punteggio Uefa negli ultimi cinque anni.

 

Gioca con quello che ha, sempre. Dei venti allenatori della serie A di quest’anno è l’unico che ha in rosa calciatori che allena tutti per la prima volta. Sembra un dettaglio, non lo è. Perché s’adatta, si sforza di capire, di conoscere, di investire. Ha fatto abolire la tavolata unica per il pranzo o la cena dei calciatori: si mangia in tavoli da 4-5 persone, senza posti fissi assegnati, ognuno dove vuole e con chi vuole, compreso lui stesso. La personalizzazione degli allenamenti Montella l’aveva introdotta per primo, a Firenze, con lui si spinge fino all’uso di telecamere termiche che registrano il calore prodotto dai giocatori e lo trasformano in dati che finiscono in un database. Amico di Mourinho, si è in parte ispirato alla formula che José aveva venduto come un’equazione ai tempi del Porto. Diceva Mou: “Motivazione + ambizione + squadra + spirito = successo”. Sousa l’ha cambiata in una formula simile ma con finale aperto: “Ambizione + coraggio + intelligenza + velocità di pensiero”. Di Mourinho parla spesso e ogni volta che concede un’intervista arriva una domanda che si trasforma in un paragone. E lui risponde sempre così: “Lui ha vinto davvero tanto, io devo ancora cominciare”.

 

[**Video_box_2**]Parla con i tifosi, sorridi sempre
Sarebbe nemico della banalità, la usa per difendersi. E’ stato una difesa anche il sorriso costante che ha avuto in ritiro. Perché la Fiorentina, prima del suo arrivo e in parte anche dopo, era in fase depressiva: l’addio di Neto, il caso Montella, le difficoltà sul mercato come quelle con Milinkovic-Savic, la cessione di Gomez, le incertezze su Rossi. Lui ha aperto ai tifosi: parlava e parla con loro, si ferma, ha addirittura deciso che lui e la squadra avranno un appuntamento periodico con i tifosi, una specie di giornata dell’orgoglio Viola ripetuta di tanto in tanto, ma con certezza. Un po’ psicologo, un po’ sociologo, un po’ filosofo. Allenatore, comunque: tutti alti, addosso agli avversari, poco palleggio, molte palle in profondità. Né meglio, né peggio del passato. La Fiorentina è un’altra cosa. Anche un pezzetto del calcio italiano.

 

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