Antonio Conte (foto LaPresse)

Il Conte dei pegni

Alessandro Giuli
Il fallaccio dei pm contro un antipatico pallonaro di successo. Sull’attuale ct della Nazionale di calcio, professionista di rara capacità e fortuna, nonché specchiato narcisismo juventino, pende una richiesta di rinvio a giudizio per una presunta frode sportiva cui avrebbe contribuito in occasione di AlbinoLeffe-Siena del 29 maggio 2011.

E niente, ci tocca difendere ancora una volta Antonio Conte. Ma non per un colpo di calore o per un fondo di garantismo in eccesso: qui si tratta di ricordare forte e chiaro come il teorema di Tangentopoli e di ogni altra sua prosecuzione con gli stessi mezzi inquisitori sia divenuto un ridicolo ma efficacissimo strumento di killeraggio anche sportivo. Sull’attuale ct della Nazionale di calcio, professionista di rara capacità e fortuna, nonché specchiato narcisismo juventino, pende una richiesta di rinvio a giudizio per una presunta frode sportiva cui avrebbe contribuito in occasione di AlbinoLeffe-Siena del 29 maggio 2011. Lui allenava i toscani e quella partita è finita nella solita inchiesta stagionale sul calcioscommesse. All’epoca, il mondo pavido, limaccioso e molto ipocrita della Federcalcio subì l’ondata emotiva della mostrificazione indifferenziata e decise d’immolare Conte infliggendogli una pena tutto sommato non così feroce, dieci mesi di squalifica poi ridotti a quattro in appello, ma lo fece adottando il peggiore argomento probatorio immaginabile: l’imputato non poteva non sapere quanto succedeva nello spogliatoio della sua squadra, con i giocatori che si accordavano sui risultati.

 

E’ lo schema attraverso il quale la procura di Milano, e in particolare un certo pm molisano poi datosi con alterne fortuna alla politica moralizzatrice, salvo poi essere a sua volta moralizzato, ha letteralmente sderenato la Prima Repubblica a colpi di custodia cautelare. Ed è lo schema attraverso il quale nel ventennio successivo, regnante (ma poco governante) Berlusconi, i magistrati d’assalto hanno tenuto in condizioni di subalternità culturale un ceto politico privato dei requisiti minimi di protezione dalle esondazioni giudiziarie (art. 68 della Costituzione). E non è che oggi le cose stiano cambiando in meglio. Il che, tornando al caso nostro, spiega perché la giustizia ordinaria ha sfruttato il varco aperto dalla sua controfigura sportiva e ha azzannato Conte fino al limitare del rinvio a giudizio. Caduta l’ipotesi di associazione per delinquere, perché esiste un limite anche al ridicolo, la mira dei pm s’è concentrata su un bersaglio più abbordabile come la frode sportiva. Persecuzione giudiziaria? Ma nemmeno, è coazione a ripetere il peggio del peggio.

Di più su questi argomenti: