Javier Mascherano (foto LaPresse)

Non solo Messi-Suárez-Neymar. Il Barcellona è soprattutto Mascherano

Beppe Di Corrado
Cerca “Mascherano tackle” su YouTube: ci sono 4.750 video. Un’overdose di scivolate, contrasti, recuperi. Perché il Barcellona che oggi gioca contro la Juventus la finale di Champions League a Berlino è oltre Messi-Suárez-Neymar. Dietro c’è Mascherano.

Berlino. Cerca “Mascherano tackle” su YouTube: ci sono 4.750 video. Un’overdose di scivolate, contrasti, recuperi. Perché il Barcellona che oggi gioca contro la Juventus la finale di Champions League a Berlino è oltre Messi-Suárez-Neymar. Dietro c’è Mascherano. Ventinove presenze quest’anno e zero gol; quarantasei presenze l’anno scorso e zero gol; quarantuno presenze due anni fa e zero gol; cinquantadue presenze tre anni fa e zero gol; quarantacinque presenze quattro anni fa e zero gol. Fanno centoventotto partite e zero gol. Il giocatore che non segna mai, mai davvero, è il simbolo nascosto della squadra che segna sempre, che ha fatto del gol qualcosa che va oltre ciò che permette di vincere una partita, un campionato, una coppa di calcio.
Javier Mascherano, argentino, 31 anni, era un centrocampista centrale, oggi è uno dei difensori più forti del mondo. E’ il perno di questo Barcellona così come lo era di quello che nel 2011 vinse la sua ultima Champions a Londra contro il Manchester United. Era arrivato da pochi mesi, preso per quell’altro ruolo e adattato successivamente a quello attuale. Alla vigilia di quella partita i giornali inglesi lo consideravano il punto debole del Barcellona, perché lo conoscevano da mediano, l’avevano visto a Liverpool (anche lì, pur giocando venti metri più avanti, aveva fatto 2 gol in 139 partite) e pensavano che adattato a difensore non avrebbe funzionato. Fu perfetto, invece. Come lo è stato praticamente sempre in questi cinque anni.

 

Mascherano è il talento del tempismo. Scorrendo tutti quei video su YouTube si ha la sensazione di avere di fronte uno che sa come intervenire e soprattutto quando farlo. E’ una caratteristica invisibile e fondamentale. E’ la differenza tra il fare un intervento efficace e rischioso o un intervento efficace e pulito. Per un difensore è quasi tutto. C’è una giocata, sua, che vale per tutte. E’ il tackle che fa a pochi secondi dalla fine di Argentina-Olanda del Mondiale 2014: Robben, capito Robben, entra in area, ha la palla sul sinistro, che è come dire che ha già segnato, s’avvicina, sta per calciare, Mascherano lo sta seguendo dal limite dell’area, lo accompagna, lo sente, si lancia in scivolata, non lo sfiora nemmeno ma arriva sul pallone nell’esatto momento in cui Robben ha tirato in porta: calcio d’angolo. Una meraviglia pallonara paragonabile per difficoltà a una rovesciata che va dentro, forse anche di più. Emotivamente, però, siamo oltre. Per descriverla qualche tempo dopo Mascherano dirà: “Mi si è aperto l’ano”. Il che fa capire che stiamo parlando di una cosa difficile, oltre che di un ragazzo che non usa linguaggi particolarmente raffinati. E però qui c’è molto di quello che lo rende speciale. Perché Mascherano ha anima, Mascherano ha epica, Mascherano è in questo l’esatto contrario di Messi, in senso umano oltre che sportivo. E’ il suo complemento, è ciò che Leo non avrà: carisma, forza, ascendente. E’ il motivo per cui è al Barcellona, d’altronde, richiesto proprio da Messi all’allora allenatore del Barça Guardiola. Maradoniano nel lessico e nell’approccio alle – poche – uscite sui media: al primo anno al Barcellona prese gli applausi in conferenza stampa dopo un Barcellona-Arsenal di Champions in cui Robin Van Persie disse che i catalani avevano avuto il solito favore dell’arbitro. “Certo, noi vinciamo sempre per l’arbitro, non lo sapete?”, esordì Mascherano. “Non vinciamo perché abbiamo fatto tre gol e loro uno, perché abbiamo fatto il 74 per cento di possesso di palla, abbiamo fatto 19 tiri in porta e loro tre, perché abbiamo completato 800 passaggi e loro la metà. E’ l’arbitro”.

 

[**Video_box_2**]Lo chiamano El Jefecito, il piccolo boss, il cui significato è stato chiaro ancora una volta qualche mese fa, quando i giornali spagnolo e le radio scrivevano e dicevano che nel Barça si odiavano tutti, a cominciare da Messi e l’allenatore Luis Enrique. Lui arrivò in un’altra – rara – conferenza stampa e disse: “Smettetela di lavare i nostri panni sporchi. Oppure fate i nomi delle vostre fonti. Ora”. Parlava non solo alla stampa, evidentemente. E’ un caso, o forse no, che da quel momento il Barcellona non ha fatto altro che vincere. S’è preso il campionato, la coppa del Re, è in finale di Champions. Per Messi, certo. Per qualcun altro. Invisibile, fontamentale.