Philippe Gilbert (foto LaPresse)

Gilbert stacca tutti. Aru in difficoltà, Contador guadagna. Al Giro è sfida Sharapova-Chiabotto

Maurizio Milani
Sullo strappo di Monte Berico Philippe Gilbert regola il gruppo con un attacco negli ultimi cinquecento metri. La maglia rosa guadagna una quindicina di secondi al rivale per la vittoria. Nella città di Campagnolo la sfida tra le più amate del gruppo.

La tappa: Imola-Vicenza(Monte Berico), 190 km - Gilbert, su tutti, da solo, finalmente. La tappa si risolve in una via crucis verso il Santuario della Madonna di Monte Berico. Un chilometro dritto e infame, che inizia piano per poi impennarsi oltre il dieci per cento. Il belga bacchetta gli avversari, fa il vuoto, vince solitario, braccia alzate, ma nemmeno troppo, perché lo sforzo è enorme e il fiato poco. Dietro Alberto Contador, ancor più capo del Giro, il più forte tra gli uomini di classifica. La maglia rosa ritorna a correre da padrone, gestisce, non fa andare la fuga, testa la condizione degli avversari sulle salite di Crosada e Perarolo, quasi gli scherza accennando allunghi, rallentando per guardare l'espressione degli altri, dei rivali. Alla fine non attacca, ma stacca tutti comunque, soprattutto Aru, che ha gambe stanche, una giornata grigia e lascia sull'asfalto una quindicina di secondi che forse non sono resa, ma sicuramente un preambolo infelice prima degli ultimi dieci giorni che decideranno il Giro.

 

Prima dello strappo di Monte Berico è gara vera, dura, veloce. La pianura iniziale è buona per rodare le gambe, il resto è un susseguirsi di salite, discese, tratti brevi di piano per tirare il respiro. E' un groviglio di strade strette, bagnate e infide. Rampe irte a salire, tortuose a discendere, scivolose, un rodeo di biciclette imbizzarrite, qualche caduta, molti lunghi ed escursioni nell'erba a bordo strada.

 

 

L’altro Giro di Milani


 

Oggi Maria Sharapova è andata a salutare i corridori che le hanno subito regalato una maglia rosa. Cristina Chiabotto, venuta a sapere del fatto, ha telefonato a Davide Cassani. A quel punto si è organizzato nel campo dell’hotel di Vicenza un match di tennis a coppie: Chiabotto/Sharapova contro Cassani/Bettini, che passava di là per caso. E’ finita 3-0 per le donne, 6-0, 6-1, 6-0. Paolo Bettini si è offeso per essere tirato dentro senza centrare niente. A questo punto ha chiesto ai giornalisti di non riportare il fatto. Noi del Foglio abbiamo rispettato la sua richiesta, le cose infatti non sono andate come le abbiamo raccontate.

 

Bettini o non Bettini, eccoci al momento della mia solita pubblicità occulta. Non per mancare di rispetto agli altri ma per me gli occhiali SALICE (per ciclisti) sono i migliori. Spedite pure una confezione omaggio al Foglio all’attenzione del dott. Giovanni Battistuzzi che mi fa da prestanome, anche per le altre pubblicità occulte, mica solo per quelle del Giro.
Ps. Bevete Esta The (bevanda ufficiale del Giro d’Italia). Se non lo trovate nei bar lungo le strade del Giro vuol dire che è stato bevuto tutto già da ieri. Telefonate pure al rappresentante di zona, che sono io


 

 

Amarcord – Il ciclismo è sport di fatica, sempre, campioni, spesso, imprese, a volte. E’ sport di luoghi che richiamano ricordi, protagonisti di un tempo, vittorie, scatti, sconfitte. E’ forza e tecnica, perché gli atleti in corsa sono un’unica cosa con la bicicletta, vivono e subiscono le sue migliorie e le sue rivoluzioni. In oltre un secolo e mezzo di vita la bicicletta si è trasformata pur rimanendo uguale, due ruote, un telaio, una sella e un manubrio, sempre gli stessi, sempre diversi. Le vittorie di oggi sono figlie delle idee di un tempo, di intuizione dettate dall’esigenza di rendere meno faticoso il pedalare o almeno più agevole. E dietro a tante di queste migliorie c’è un personaggio solo, ciclista prima, meccanico poi, imprenditore, uno dalle ciglia folte, dal viso burbero, dalla battuta tagliente, Tullio Campagnolo.

 

Vicenza è casa sua, lì è nato, ha iniziato a pedalare, è diventato professionista, ha corso tre anni (ottenendo pure una vittoria nel 1930), ha capito che la sua strada era un'altra, sporcarsi le mani di grasso e limatura, risolvere problemi. Perché questo ha fatto sempre, osservare le biciclette e migliorarle, come mai nessuno prima, un mister Wolf delle due ruote.

 

Tullio era uno della prima scuola, di quelli fedeli al comandamento che per essere un corridore è necessario prima di tutto capire come una bicicletta si muove. Lo faceva da atleta, l'ha continuato a fare da meccanico e imprenditore, continuando a correre, perché la bici non l'ha mai lasciata, la studiava, ideava, testava, sempre pedalando su di essa.

 

[**Video_box_2**]Campagnolo corre tra i pro tra il 1927 e il 1930, discreto passista, uomo di fatica, "dalle gambe toste e il cervello fine", disse di lui Luigi Ganna. Corre e riflette perché "pedalar xé duro e fadigar non piase a nisun. Mi so' sta' coridor, e so de cosa parlo", disse ad un giornalista della Gazzetta negli anni Cinquanta. La missione di Tullio è sempre stata una: semplificare, rendere semplici azioni sino ad allora complesse. E' il 1927, l'11 novembre, si corre il Gp della Vittoria a Vittorio Veneto. I corridori arrivano alle pendici del Croce D'Aune, il monte che domina Pedavena, si fermano e girano la ruota per inserire il rapporto da salita. Fa freddo, Tullio ha le mani dure, le chiavi inglesi sono congelate, per cambiare la ruota ci mette oltre due minuti, esclama: "Bisogna cambiar qualcossa de drio" (bisogna cambiar qualcosa dietro). E' la prima cosa che fa terminata la carriera. Entra in officina e quando esce ha in mano il mozzo a sgancio rapido, una leva che permette di smontare con un solo gesto la ruota. E' la prima di alcune migliorie che rivoluzioneranno la bicicletta. Nel 1933 Tullio presenta il primo cambio a leve, che prevedeva l'uso di due aste metalliche per cambiare rapporto senza dover togliere la ruota. Non è il primo esemplare di cambio per bicicletta (già nei primi anni Dieci la Fiat aveva introdotto un mozzo che cambiava con una pedalata all'indietro), ma è il più leggero, il più efficace, il meno delicato.

 

E’ l’inizio, non si fermerà più. Continuerà a introdurre modifiche, migliorie, variazioni. Le due aste diventerà una, poi nessuna, sostituita da un cavo di trasmissione, il Gran Sport, primo cambio a deragliatore mai realizzato: anno 1949. Tullio segue le corse, parla con meccanici e corridori, riflette, poi si chiude in officina e realizza modelli e prototipi, li testa. La sua azienda che sino al 1940 aveva un solo dipendente, aumenta di grandezza e di importanza, diventa punto di riferimento, leader mondiale, esempio di innovazione e genialità, mentre lui rimane a lavorare in officina, a testare, a incaponirsi: “Se pol far tut, basta pensar, lavorar e capir cosa pol servir”. In tutti i campi, dalla bici al tavola: perché Tullio inventava quello che non trovava in commercio, come il cavatappi a due leve, come lo schiaccianoci a leva.