Sorpresa, la palla è rotonda

Piero Vietti
L’ennesima inchiesta tardo primaverile sul “calcio malato” colpisce Lega Pro e Dilettanti col solito carico di intercettazioni, papere e zingari pentiti. E la ciccia? Perché il pallone italiano non si risana con la via giudiziaria.

Roma. A leggere certi editoriali, i processi sul calcioscommesse che avrebbe falsato i campionati di Lega Pro e Dilettanti si sono già conclusi: tutti colpevoli, “marci”, professionisti del malaffare, stando a chi in queste ore commenta stupito “l’ennesimo scandalo che mina la credibilità di uno sport malato da tempo” (semicit.).

 

Ormai è un classico: con l’avvicinarsi dell’estate, prima dei consigli su come affrontare il caldo, nel mese di maggio parte la retata delle forze dell’ordine. Arresti, custodie cautelari, intercettazioni pubblicate su tutti i giornali, video con le azioni “incriminate” in cui anche il liscio di un difensore scarso diventa indizio definitivo del suo essere ricattato dalla malavita. Prima degli ultimi Europei fecero persino irruzione nel ritiro della Nazionale, provocando la reazione giustizialista del ct Prandelli, il quale lasciò a casa il totalmente estraneo ai fatti Criscito. Negli anni le procure hanno abbassato il tiro, ma senza cambiare metodo. Adesso nello scandalo ci finiscono squadre e dirigenti di Lega Pro e Dilettanti, là dove forse non è stato un colpo di genio aprire alle scommesse: chiunque abbia frequentato un campo di periferia sa che si tratta di campionati in cui da sempre molti risultati, soprattutto a fine stagione, sono frutto di accordi più o meno taciti tra giocatori, e sa che ci sono società che non vogliono essere promosse tra i professionisti, perché questo comporterebbe il cambiamento del regime fiscale, mentre tra i dilettanti si può continuare a barcamenarsi tra i rimborsi spese, anche perché gli stipendi – quando ci sono – sono bassi, e capita che non arrivino per mesi. Nulla di giustificabile, ma è un sistema che non si sana con un’inchiesta tardo primaverile che fa il botto sui media, indigna sportivi ed editorialisti, e poi rischia di finire nel nulla o quasi (non perché non ci siano combine e interessi criminali dietro ai risultati aggiustati, ma perché, come si è visto, sono difficili da dimostrare). Come sempre, però, si preferisce gridare allo scandalo, e magari approfittare delle intercettazioni per schizzare un po’ di fango sui “cattivi”: così viene presa molto sul serio un’intercettazione in cui un ex dirigente sportivo dice al dg dell’Aquila che il patron della Lazio Claudio Lotito (è saltato fuori che un’altra sua società, la Salernitana, sarebbe coinvolta) “ricatta” il presidente della Figc Carlo Tavecchio, e non manca chi cerca di dare gran parte della colpa dello scandalo allo stesso Tavecchio, colpevole di essere stato eletto grazie ai voti dei dilettanti ed essere in “sintonia” con loro.

 

I misteriosi intrecci del circuito mediatico giudiziario, poi, hanno fatto sì che nello stesso giorno degli arresti per calcioscommesse sia partita l’accusa dell’Antitrust su un possibile cartello tra Sky e Mediaset per l’acquisto dei diritti tv della serie A (partendo da una dichiarazione di Lotito, tanto per cambiare). Quale migliore occasione per riciclare qualche titolo sul “calcio malato”, “da rifondare” e che fa allontanare la gente dagli stadi? Fino all’esaltazione della prossima partita. E in attesa della prossima retata.

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  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.