Paolo Tiralongo (foto LaPresse)

Giro gregario. Vince Tiralongo in Irpinia, c'è un infiltrato in corsa

Giovanni Battistuzzi

Ancora una fuga giunge al traguardo. A vincere a San Giorgio del Sannio primo arriva il siciliano della Astana, il più fidato gregario di Fabio Aru, che riesce a recuperare un secondo alla maglia rosa Alberto Contador. Porte resiste, Uran perde quasi un minuto. Domani il primo giorno di riposo.

La tappa: Benevento-San Giorgio del Sannio, 224 km – Tiralongo ha un cognome gregario, che sa di fatica e lavoro per altri, è corridore tosto, coriaceo, uno che va forte, sempre, che sgobba come pochi per il proprio capitano. E’ uno che vince poco, ma quando lo fa sono capolavori. Al Giro aveva già ottenuto due successi, il primo a Macugnana nel 2011, arrivo in salita, si è ripetuto oggi, in una tappa senza pianura, in fuga per 180 chilometri, da solo negli ultimi, quelli decisivi, dopo essere partito sull’ultima ascesa, sui chilometri irti e maligni del Passo Serra. Al Giro ha sempre lavorato per Aru, nel suo giorno libero fatica per se e lo fa egregiamente, prima vittoria Astana, alla faccia dei capitani.

 

A San Giorgio è finita come doveva. Ormai il copione è stabilito, un copione appenninico, cambiano i nomi dei primi interpreti, gli avventurieri della mattina, rimangono invariati i secondi, i migliori, i tre principi che si sfidano per la classifica generale: Contador-Aru-Porte. Ogni tappa il terzetto si ricompatta, ogni salita nel finale è terreno buono per uno scatto di Aru, un pronto recupero della maglia rosa, una rincorsa di Porte. Gli altri dietro, a inseguire, lontani. Oggi assieme ai tre c’è Landa, compagno del sardo, ieri secondo, oggi fondamentale per strappare quasi un minuto a chi ormai al Giro non può fare altro che sperare che uno di quei tre vada in crisi.

 

L’altro Giro di Maurizio Milani


 

Noi del Foglio abbiamo pensato di far passare il Giro per Nettuno. Abbiamo così preso contatti con l’organizzazione. Tutto a posto. Ovviamente ci siamo accordati che il sindaco sarebbe stato avvertito solo un minuto prima del passaggio dei corridori per fargli una sorpresa. Compiva gli anni oggi.

 

Il cambiamento di percorso si è reso necessario anche perché abbiamo saputo che al Giro corre anche un imboscato. E’ entrato in gruppo nella tappa dell’Abetone per una pena d’amore e dato che è di Nettuno, il Giro passerà per il suo paese così tutti i parenti lo possono salutare. Corre con una maglia bianca, simile a quella di Pozzovivo. Ha preso il suo posto. Nessuno lo ha ancora cacciato perché sanno che da piccolo è sempre stato escluso dai giochi. Dispiace dirlo, ma non stava simpatico a nessuno. E’ per questo che l’organizzazione non lo escluderà. Lo farà alla cronometro perché i posti sono contati e gli spettatori se ne accorgerebbero.


 

 

Amarcord – Irpinia, “ricca Campania, ma barbuta e orsa, sperduta, di passione infinita”, per Orio Vergani, “subdola e vorace, che stritola corridori su strade omicide, vorticose, di speranze ormai vuote”, per Dino Buzzati. In Irpinia il Giro arriva per la prima volta nel 1914, ripassa dopo, spesso, si fa vincere da campioni, entra come comparsa nel dominio sportivo più netto della storia del ciclismo.

 

[**Video_box_2**]E’ il 1927, è la quindicesima edizione del Giro d’Italia, l’anno del dominio di Alfredo Binda, il trombettiere di Cittiglio, uno dei ciclisti in assoluto più forti della storia di questo sport. Gigun è emigrato adolescente a Nizza per fare lo stuccatore, in Francia è diventato uomo, ciclista. In tre anni di professionismo ha ottenuto una trentina di vittorie, affermazioni solitarie, domini assoluti. Nel 1924 viene segnalatoa a Eberaldo Pavesi da un amico: “Qel lì l’è ‘n fenomen”. L’avocat lo va a vedere correre e ritorna a Milano con un contratto firmato. L’anno dopo al rientro in Italia vince subito il Giro superando Girardengo, che vince sei tappe, grazie a una fuga nella quinta tappa, Roma-Napoli, 260 chilometri. Girardengo è il Campionissimo, il più amato, Alfredo però il più forte. L’anno successivo se ne accorgono tutti. Il Trombettiere vince sei tappe, Gira si ritira, Giovanni Brunero vince il Giro. Binda è secondo, ma solo perché è caduto nel corso della prima tappa e sulle strade verso Torino aveva lasciato oltre mezzora.

 

La rivincita un anno dopo. Ed è assolo. Gigun su 15 tappe ne vince 12, un dominio assoluto, Giovanni Brunero, secondo a Milano arriva con 27’24” di ritardo. Nella tappa con arrivo a Roma attacca sui Monti Cimini e rifila otto minuti al secondo, vince in volata a Napoli, ma è nella tappa in Irpinia che si supera. Alla partenza ha 14 minuti sul secondo, Brunero, la settima tappa, Napoli-Avellino, è corta, 153 chilometri, ma mossa e la salita di Mercogliano ripida. Binda sembra inattaccabile, ma in quella frazione cade dopo pochi chilometri e ruzzola in un fosso. Si rimette in bici dopo pochi attimi, ma gli avversari lo hanno già attaccato. Tocca inseguire, lo fa, recupera, ma la sfortuna continua a seguirlo: fora due volte, il distacco cresce, ma lui non si perde d’animo. Tutto solo attacca la salita di Mercogliano ad andatura folle, uno a uno recupera tutti, in discesa attacca, vuole arrivare solo, dimostrare di essere imbattibile, ma fora ancora, viene raggiunto e staccato, quando mancano 20 chilometri ha oltre due minuti di ritardo, ma Binda non demorde, raggiunge i primi e li batte allo sprint. Brunero commenta alla Gazzetta: “Se nemmeno la sfortuna lo ferma, perché dovrei farlo io?”.

 

Dominerà anche nel 1928 e nel 1929. Nel 1930 no, gli organizzatori gli pagano il premio del vincitore in anticipo, basta che non corra. Troppo forte per tutti, la corsa con lui perde interesse, gli altri corridori non vogliono scendere in strada. E’ la prima e unica volta nella storia di questo sport che un atleta viene pagato per non correre. Ma è Binda, “un uragano, la massima espressione di famelica forza che si può trovare su una bicicletta”, parola di Emilio Colombo, direttore della Gazzetta in quegli anni.