André Greipel (foto LaPresse)

Greipel vince in volata, primo Daspo al Giro

Giovanni Battistuzzi

Lo sprinter tedesco domina l'arrivo di Castiglione della Pescaia in una giornata segnata dal vento. Sul rettilineo finale uno spettatore, che si era sporto dalle transenne per fare una fotografia, ha centrato Simone Colli, che cadendo ha buttato a terra mezzo gruppo. Sull'asfalto anche la maglia rosa Alberto Contador.

La tappa: Montecatini Terme – Castiglione della Pescaia, 180 km – Di prepotenza e velocità, di forza e potenza, sontuoso, solo. Così André Greipel oggi sul rettilineo finale della tappa che porta a Castiglione della Pescaia. Sprint senza storia, senza appello, per gli altri. Dietro a lui Pelucchi e Modolo, bravi, soprattutto coraggiosi, perché in un Giro senza padroni delle volate, è la confusione ad invadere il gruppo, e sono spallate, cambi di direzioni, rischi, cadute, anche se oggi l’agonismo non centra, a mandare a terra gli atleti ci ha pensato un tifoso che nel tentativo di fare una fotografia ha centrato Colli lanciato a 60 allora.

 

Doveva essere una giornata relativamente tranquilla per gli uomini di classifica, non per gli altri, perché la corsa va controllata, i fuggitivi, cinque oggi, vanno controllati e ripresi, la volata impostata. Non lo è stata. Dove le strade hanno dato tregua, arriva il vento a creare problemi. Folate laterali sul gruppo che si apre, si sfalda, si spezza. Indietro in molti, nessuno tra gli uomini di classifica.

 

L’altro Giro di Milani


 

Ieri sono andato dallo psicologo del Giro d’Italia, o meglio quello c’era scritto sulla pubblicità di un giornale. In effetti lo è stato, ma nel 1985. Come colloquio è stato non bello, bellissimo. Abbiamo parlato degli Internazionali di tennis che ci sono adesso a Roma, al Foro italico.

Le ho detto:” “Psicologo, sono innamorato di tutte le tenniste della classifica Atp”.

Lui: “Come mai?”.

Io: “Non so, me lo dica lei”.

Lui: “Per me lei è uno scemo”, e così dicendo mi ha accompagnato gentilmente alla porta. Non ha voluto la parcella. A quel punto mi sono dato al vandalismo e gli ho spaccato tutta la sala d’attesa, compreso il condizionatore appena installato (molto bello). Lui a quel punto ha deciso di vendicarsi. Ha telefonato al Giro che mi ha dato il daspo. Sono stato diffidato dal seguire la corsa, dove tra le altre cose sono. Non posso vederli nemmeno in televisione. Per me è giusto, anche se come provvedimento è troppo severo, nella mia situazione infatti sono solo in cento al mondo. Il primo è stato un cittadino bulgaro che nel 2005 durante una tappa del Tour tirò un’anguria verso le biciclette di riserva che c’erano sopra un’ammiraglia e le sfondò tutte. A squadra per protesta si ritirò. Per me dovevano andare avanti lo stesso. Al limite se durante la tappa avessero avuto bisogno di una bici di riserva la potevano chiedere in prestito a un’altra squadra. Nella storia del ciclismo infatti non è mai successo che una squadra sia rimasta senza biciclette. Su tutte le ammiraglie infatti ci sono almeno 250 bici di riserva e i corridori al massimo ne usano 30-35. Dispiace dirlo ma è così: per cui questa rubrica finisce oggi nonostante al Giro manchino ancora 15 tappe. E’ bello piantare le cose a metà e offendere e deludere chi lavora con te, in questo caso Giovanni Battistuzzi.


 

 

Amarcord – Quando ai 250 metri dall’arrivo della 12a tappa del Giro del 1989, Mantova-Mira, 148 chilometri, Mario Cipollini si alza sui pedali per sprintare è soltanto un ragazzone al primo anno tra i professionisti, dalle ottime prospettive, ma tutte da dimostrare. Aveva vinto al Giro della Puglia, ma nella corsa rosa sino a quel momento aveva trovato sempre i baffi dello svizzero Urs Freuler a precederlo. Poco male, direbbe chiunque: Mario ha 22 anni e Urs è un signor velocista. A sentire il toscano però quei secondi posti, che sarebbero stati benedizione per qualsiasi ne’oprò, sono per lui uno schiaffo in faccia, una sconfitta. E così quando ai 100 metri dal traguardo Cipollini va in testa, ai 50 accumula vantaggio, ai 25 si siede sul sellino e ai 10 alza le braccia al cielo, lo sprinter capisce di avercela fatta e il ciclismo di avere trovato un fenomeno. E’ la prima delle sue 42 vittorie al Giro, record assoluto della corsa. Super Mario è di Lucca, nemmeno mezzora da Montecatini Terme, partenza della tappa odierna, in 19 anni di professionismo vince tutto quello che uno sprinter può vincere, Milano-Sanremo e Mondiale compresi, e rivoluziona questo sport. E’ il primo ciclista a diventare icona pop, a occupare le prime pagine delle riviste, a cambiare usi e costumi del ciclismo. Corre con body stravaganti, chiama stilisti a disegnare le sue maglie, si inventa grafiche per caschi e biciclette, cambia soprattutto il modo di fare le volate. Cipollini istituzionalizza il treno, lo fa diventare una macchina quasi perfetta: tutta la squadra si mette al suo servizio, uno dietro l’altro in fila indiana, aumentano la velocità, recuperano la fuga. Ogni uomo ha il suo compito, dà tutto per un periodo predefinito di tempo, prepara la volata; il terzultimo uomo entra in scena all’ultimo chilometro, il penultimo negli ultimi 500 metri, il resto tocca a Mario ed è quasi sempre vittoria. Il treno che è invenzione di Rick Van Looy negli anni Sessanta quando, passato alla Faema, mise in pratica questo metodo per assottigliare il numero di rivali allo sprint e potere quindi partire da lontano senza troppi avversari in scia. Una tecnica ripresa anche da Saronni negli anni Ottanta, ma resa regola solo da Super Mario.

 

Sempre Toscana, un centinaio di chilometri più a sud. Non più pianura, collina, bruciacchiata, ocra, cullante. A ovest il mare di Rosignano Solvay e Cecina, basso livornese per tutti, per gli appassionati di questo sport terra natia di Paolo Bettini. I corridori di oggi passeranno nei luoghi di allenamento del Grillo di ieri, l’ultimo campione italiano nelle gare di un giorno. Campione olimpico ad Atene 2004, due Mondiali (2006-2007), tre Coppe del mondo consecutive, record, una Sanremo, due Liegi, due Lombardia, cose non da tutti, soprattutto se si considera che questo lo ha portato a casa in soli sette anni, negli ultimi della sua carriera. Prima, un passaggio tra i professionisti ritardato, a 23 anni e quattro stagioni di gregariato agli ordini del più forte cacciatore di classiche degli anni Novanta, Michele Bartoli. Perché il Grillo ha dovuto ribaltare pregiudizi, molti. Dicevano di lui: veloce, ma non velocissimo, discreto in salita, ma nulla più, resistente, ma nemmeno troppo, bravo sì, ma non un fenomeno, generoso, ma scellerato. Doveva essere uno dei tanti, divenne un fenomeno. Il segreto? Tempra e determinazione, volontà. Al Giro due tappe, diversi giorni in maglia rosa, tanti attacchi, moltissimi piazzamenti. Non era fatto per i grandi giri, dicevano, vinse anche al Tour e alla Vuelta. Nel 2005 il suo capolavoro. Seconda tappa, Reggio Calabria-Tropea, 208 chilometri, finale difficile, con uno strappo duro da affrontare nell’ultimo chilometro. Un finale da classiche del nord, insomma. Il Grillo sa di essere il favorito, ha già dichiarato di puntare a quell’arrivo, viene controllato a vista. Il gruppo vede il triangolino rosso dell’ultimo chilometro, la strada sale, Bettini attacca. E’ uno scatto fulminante, nessuno riesce a prendergli la ruota, lui non si volta, continua a incrementare velocità e distacco, dietro ci provano a rientrare, ma continuano a vedergli solo la schiena, anche quando si gira, si risiede in sella, alza le braccia al cielo, esulta. Prima vittoria al Giro, prima maglia rosa, promessa mantenuta, tanti saluti a tutti gli altri, agli scettici e ai gufi.

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