Soap garantista

Molestie, gogna, colpevoli, innocenti. In “Un posto al sole” va in scena la complessità

Marianna Rizzini

"Ci interessava approfondire la dinamica dei processi sommari in rete per scardinare, attraverso le azioni e le parole dei personaggi, l’automatismo del ‘uomini contro donne’ per forza, sempre e comunque”. Parlano l'head writer e la script editor

Una sera in tv, una soap storica, la collina di Posillipo, un palazzo come scena principale e un’accusa rivolta a un giovane uomo: molestie a una ragazza. L’accusato ha tutti i tratti del colpevole perfetto. L’ambiente si fa coro greco e punta il dito senza indugio, anche sui social, e anche contro i presunti complici omertosi. Ma tu, spettatore, sai che lui è innocente, fin dall’inizio, e anche se con la ragazza è entrato davvero in relazione, a un certo punto. Sai che nulla è come sembra nella narrazione della presunta vittima, sai che lui, il presunto colpevole, è imperfetto e immerso come molti nelle contraddizioni della sua vita privata, ma imperfetto non vuol dire necessariamente colpevole. E sai perché lei ha detto il falso, sai del piccolo dispetto che non voleva arrivasse al livello della giustizia penale, ma sai anche che è facile credere a lei, perché le violenze e le molestie vere purtroppo altrove ci sono e sono tante, e la cronaca le documenta.

 

Tutto questo accade su Rai3, in “Un posto al sole”, la soap quasi trentennale prodotta da RaiFiction, Fremantle e Centro di Produzione Rai di Napoli. E le puntate si susseguono, la storia si complica, i comprimari si dispongono lungo la linea di confine che separa i colpevolisti – che ci vedono un chiaro caso di “metoo” – e gli innocentisti che non sanno come fermare una gogna partita senza neanche un attimo di riflessione e scesa, a cascata, persino sul bar dove il presunto molestatore lavora, visto il mancato licenziamento dell’accusato. Poi qualcosa succede, qualcuno comincia a dubitare. La vicenda è complessa, di una complessità rara da trovare sul piccolo schermo. Com’è nata, a “Un posto al sole”, una storia così controversa, dagli accenti garantisti? “Siamo sempre molto attenti ai temi di attualità”, dice Paolo Terracciano, head writer della soap

 
Racconta, Terracciano, di come anni fa, sullo stesso tema, gli autori si fossero invece applicati a una situazione di vera violenza, dalla parte della vera vittima di una sorta di predatore, nella cui rete era caduta, poi denunciando, anche la madre della finta vittima attuale, l’unica che nutre qualche dubbio sulla versione della figlia, conoscendo le sue piccole debolezze caratteriali. “Forti di questo precedente che ci metteva al di sopra di ogni sospetto di minimizzazione rispetto alle violenze reali”, dice Terracciano, “ma consapevoli del fatto che oggi, anche per via dell’interazione social, è facile cadere in schemi di colpevolizzazione automatica, e anche senza approfondimento dei vari casi, ci siamo cimentati con la storia di un ragazzo innocente e messo rapidamente alla gogna. Ci interessava, in particolare, approfondire la dinamica dei processi sommari in rete – che spesso vanno oltre la realtà e oltre le responsabilità. In questo caso un errore normale, in una situazione normale, scivola nel penale per effetto di un meccanismo perverso. Ecco, ci interessava scardinare, attraverso le azioni e le parole dei protagonisti e dei comprimari, l’automatismo del ‘uomini contro donne’ per forza, sempre e comunque”.  

 

“Abbiamo anche cercato di approfondire quello che accade nella mente degli osservatori: amici, parenti, colleghi”, dice Emily Marchi, script editor nel team di “Un posto al sole”. Ed è a quel punto che i riflettori si accendono sulla madre della ragazza che a un certo punto, dice Marchi, “sente che la verità raccontata dalla figlia non è proprio la verità, e lo sente perché è lei che ha la responsabilità della sua crescita. Mentre la nonna, proprio in quanto nonna, può permettersi, non avendo doveri educativi, di sposare la linea della nipote”. E’ accaduto insomma che una soap vista da milioni di spettatori si sia fatta in qualche modo radar di complessità, abbattendo la semplificazione su un tema dalle molte sfaccettature. E’ qualcosa, anzi non è poco. 

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.