EZEQUIEL BECERRA/AFP/Getty Images

Attenti alle vanghe

Perché la vicenda del neonato morto al Pertini è un monito per l'Italia

Annalena Benini

L’errore della maternità eroica e la solitudine della madre. Fare un figlio da almeno vent'anni è diventato qualcosa di sempre più miracoloso: ci sono molte buone intenzioni e poi c’è il solito problema della carenza di personale

Se qualcuno adesso dice: le donne partorivano e dopo mezz’ora erano di nuovo nei campi a lavorare, io smetto di scrivere e inizio a roteare una più utile vanga, di quelle che ancora si usano nei campi. Ma nessuno lo dirà, non solo perché siamo diventati più intelligenti, ma anche perché teniamo vanghe a portata di mano. Una giovane donna ha partorito il suo primo figlio all’ospedale Pertini di Roma, un lungo travaglio, molta stanchezza e il bambino nel letto senza la possibilità di lasciarlo qualche ora nel nido. Non si poteva, ci sono delle regole, c’è poco personale e adesso ci sono anche le limitazioni del Covid. 

 

La giovane donna si è addormentata e quando ha aperto gli occhi il bambino non c’era più, ed era già morto. Non entriamo nella tragedia né nella vicenda giudiziaria, lasciamo i dettagli e però teniamoci lo strazio. Ognuna ha una storia di parto e post parto da raccontare, un sopruso subìto o osservato, un pericolo scampato o una rabbia che non passa; a volte invece la salvezza durante quelle ore misteriose (può andare magnificamente, evviva, una passeggiata, ma può andare tremendamente) è arrivata dalle ostetriche e dalle infermiere. Dalle altre donne che fanno un cerchio di carne e comprensione intorno alla maternità appena sbocciata e dicono quella cosa semplice: adesso però dormi, hai bisogno di riposare. 

 

Invece la maternità si è complicata: da almeno vent’anni è qualcosa di sempre più miracoloso, eccezionale, avvolto da formidabili certezze su quale sia la cosa migliore per il bambino fin dal primo vagito. Il seno, il corpo della madre, il petto del padre, e non vorrai mica staccartelo di dosso per tre minuti? Ti scappa la pipì? È meno importante dei bisogni di questo fagottino che hai tanto voluto e che adesso ci fai vedere che te lo sei meritato. Ci sono molte buone intenzioni e poi c’è il solito problema della carenza di personale, ma c’è anche molta brutalità: data da un’idea sbagliata ma profonda dell’eroismo che ogni madre deve dimostrare, meglio se in piena solitudine. In quel momento di grande potenza, ma allo stesso tempo di inermità, si pretende l’esercizio di tutta la mistica della forza femminile. Anche la competizione e la punizione: chi è la più brava, chi è l’incapace? È ora di far vedere chi sei, ragazzina. Invece è ora di far vedere chi siamo: un paese civile e attento al futuro, che mette a disposizione di chi partorisce e di chi nasce un aiuto e una comunità all’altezza di questo momento ardente: l’origine della nostra società. Che non è mai piovuta dal cielo.

Di più su questi argomenti:
  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.