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I social hanno ucciso il senso del ridicolo, ma neppure la deontologia se la passa bene

Chiara Lalli

La deontologia è nata per proteggere gli ordini, non i pazienti. E forse ci vorrebbe un codice deontologico che ci dica come non fare una brutta figura online

L’altra notte non riuscivo a dormire e mi sono messa a guardare i profili di alcuni medici su Instagram. Il primo forse mi è comparso perché avrò detto o cercato qualcosa che aveva a che fare con la categoria, precipitandomi nell’inferno delle verità: balletti mentre spiegano qualche intervento chirurgico, magari ancheggiando su sfondi luccicanti; conteggio dei follower e conseguente celebrazione; montaggi con ambizioni da Pietro Scalia; domande e risposte per insufficienti mentali con cuoricini e altre emoji; i classici “prima e dopo” con brame artistiche.

 

Non è la prima volta che mi sento mia nonna ma è forse la prima volta che penso di aver ragione nel voler buttare il modem di questi qui (non è vero, ma più ragione delle altre volte che ho borbottato “troppo tempo libero”). E mi viene voglia anche di mettere l’equivalente del lucchetto al telefono della nostra adolescenza: solo mezz’ora al giorno, solo pochi dati da poter usare (non abbastanza per caricare queste imbarazzanti coreografie). Mi fanno lo stesso effetto quasi tutte le psicologhe dell’internet (declino al femminile perché mi è capitato di vedere più femmine, ma il ridicolo non è una prerogativa di genere).

 

Mi chiedo: ma davvero siete disposti a pagarle? Davvero non pensate “ma è meglio la cartomante sotto casa”? Mi chiedo: ma il vostro ordine professionale cosa dice? E’ una domanda retorica e per me stessa. E mai come in questo momento capisco che cosa volesse dire che la deontologia è nata per proteggere l’ordine e mica i pazienti (fino alle storie di Instagram e a TikTok il mio romanticismo medico era sopravvissuto nonostante gli agguati, adesso è in frantumi). Mi chiedo anche se davvero abbiamo bisogno di un codice deontologico che ci dica come non fare una brutta figura.

 

I limiti potrebbero essere segnati dal decoro e dal divieto di fare pubblicità. Il primo articolo del codice dei medici dice che “il comportamento del medico, anche al di fuori dell’esercizio della professione, deve essere consono al decoro e alla dignità della stessa”. Ah. Tutto troppo vago, lo so. Il decoro è un concetto scivoloso e cangiante e dipende dal senso del ridicolo che mi pare i social abbiano annientato. Mi sforzo per non rispondere “ma davvero il balletto con le luci non è universalmente indecoroso?” e cerco “decoro” nel sito della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. Trovo una vecchia lamentela perché Mara Venier aveva raccontato di essere dovuta andare da un chirurgo maxillo-facciale dopo un impianto dentale andato male. Il presidente della Commissione albo odontoiatri aveva scritto: “Pertanto, il clamore destato dalla vicenda e le parole di ringraziamento usate più volte nei confronti del chirurgo maxillo-facciale che avrebbe a suo dire risolto il problema, hanno inevitabilmente creato un danno all’immagine per tutta la categoria degli odontoiatri, offendendone conseguentemente la dignità e il decoro professionale”. Scusate, ma sui balletti e sui selfie alle proprie faccette dentali non avete niente da dire? Mi chiedo se più che del decoro potrebbe l’invito di evitare l’esposizione della propria vita privata e il divieto di pubblicità.

 

“Sono vietate al medico tutte le forme, dirette o indirette, di pubblicità personale o a vantaggio della struttura, pubblica o privata, nella quale presta la sua opera” (articolo 53) e l’informazione sanitaria non può assumere “le caratteristiche della pubblicità commerciale” (articolo 54). Questo è ancora il codice dei medici ma quello degli psicologi non è poi molto diverso – almeno su queste tre condizioni dell’esercizio opportuno della professione. Me lo chiedo guardando l’elenco di #totallook, #supplied, #gifted e cose del genere (cioè ringraziamenti a chi ti regala gonne e camicette, a chi ti pettina o ti trucca) e le foto al mare, in piscina, a casa di un cugino e soprattutto quelle culo e libro ed espressione pensosa.

 

Sì lo so, anche gli avvocati non scherzano (“lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza”), ma questa è un’altra puntata. Nel frattempo sono condannata a vedere solo video promozionali di medici. Anche di quelli che fanno il trapianto di capelli, e sono un po’ offesa.

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