Foto di Koshu Kunii, via Unsplash 

tra occupazioni e conflitto

Le norme anti rave che non servono. Di che cosa ha paura il potere?

Marco Bentivogli

Una vita spesa a manifestare, aggregandosi e organizzandosi per pretendere i propri diritti. E ora una legge vuole colpire senza distinzione tutte le iniziative di partecipazione. A che serve?

Ho cominciato presto a organizzare iniziative, a 15 anni, forse anche prima, a scuola, nel quartiere, nel lavoro e poi nel sindacato. A 16 anni banchetti nei mercati, davanti alle scuole, volantinaggi ai semafori, senza partiti o grandi organizzazioni alle spalle, poi nel lavoro. Facevamo informazione sul lavoro, sulle stragi e la mafia, i crimini dei neofascisti, nel quartiere, rimasti impuniti. Il primo blocco stradale per evitare la cementificazione del Parco delle Valli. Ci riuscimmo. Ho occupato la scuola e poi la Sapienza. Ho occupato uno stabile abbandonato nella periferia nord est di Roma per fare cose sovversive tra cui la scuola popolare per i bambini. Sono arrivato nel sindacato poco dopo gli accordi sulla concertazione, epoca in cui molti pensavano che il conflitto sociale fosse superabile. Tutt’altro! Nel lavoro ho organizzato assemblee (autorizzate e non). Quando non c’è tempo e sul lavoro si fa male qualcuno e magari ci lascia la pelle, quando ti chiudono una fabbrica e neanche hanno il coraggio di dirtelo, quando aspettano la notte o le ferie per svuotare le fabbriche dei macchinari, non si può rispondere con le procedure.

 

Presìdi, cortei, autorizzati e non. Cariche della polizia ovunque, a volte meritate ma più spesso senza motivi seri. Ho bloccato più volte l’Appia davanti all’Ilva di Taranto, la A1 per la vertenza ThyssenKrupp di Terni, due volte la A14 per il Contratto nazionale, a Carbonia per Alcoa i ministri si rifiutarono nel 2012 di riceverci e scapparono in elicottero come gli americani a Saigon. A Carinaro, nella vertenza Whirlpool, marciammo fino alla base Nato, non distante per fare arrivare ai vertici della multinazionale la nostra protesta. Evitare il blocco di aeroporti, porti e ferrovie è sempre stato uno scrupolo in più, visto l’automatismo più stringente con le denunce e le sanzioni ma anche per i danni inutili ai cittadini. Ho sempre evitato di occupare le fabbriche, perché erano un ottimo slogan per eccitare i conduttori dei talk ma in tempi di magra la necessità era occuparle di lavoro e l’“occupazione” era un ottimo alibi per chiudere e delocalizzare.

 

Le mobilitazioni dei metalmeccanici sono sempre state svolte con grande senso di responsabilità verso i cittadini. Un po’ meno e stranamente più tollerate quelle che bloccano i servizi pubblici, taxi e trasporto pubblico, quelle di forconi e no vax, o i blocchi degli scrutini, per cui non si perde reddito e si scarica sugli studenti il disagio. Insomma ho un curriculum impegnativo, non sono un agitatore, ma credo che un riformista non possa stare fuori dalle mobilitazioni che hanno obiettivi chiari e condivisibili. I corpi intermedi possono dare contenuto e forma alla rabbia e al disagio se non ne sono estranei. Stare nei conflitti vuol dire rischiare e spesso quando l’interlocutore scappa le persone se la prendono con chi resta e bisogna accettare i fischi e qualcosa di più, anche dalla tua gente. Non si fanno grandi accordi se si plana dall’alto tra le persone. Il pastore deve avere l’odore delle pecore e condividerne il destino. Altrimenti sei un burocrate inutile.

 

Il governo Conte 1 col “decreto sicurezza bis” ha inasprito le misure sull’ordine pubblico e sia per Whirlpool sia per Alcoa i responsabili dell’ordine pubblico ci illustrarono le sanzioni penali e amministrative cui si andava incontro una volta passato il termine dell’orario in cui erano autorizzate le manifestazioni. Ricordate quando la Digos suonava ai citofoni dove, in attesa di Salvini, qualcuno manifestava con lenzuoli e cartelli la propria disapprovazione? Per Alcoa c’era il solito problema di intrecciare il ritorno con l’orario dei traghetti. In alcuni comuni (anche di centro sinistra) per volantinare e fare un banchetto servono giorni e giorni di preavviso. Gli stessi anni in cui Salvini solidarizzava con i pastori in lotta per il prezzo del latte ma che secondo i suoi decreti (e di Conte) avrebbero avuto sanzioni pesantissime. Con le norme “anti rave” si capisce la necessità di ricompensare la sete di identità forcaiole (fortissime anche a sinistra) ma si colpiscono indistintamente tutte le iniziative di partecipazione. Quelle di cui ha paura tutto il potere, tutto. Per questo faccio un’autodenuncia pregressa e preventiva. Quelle norme non servono. Servono semmai gruppi dirigenti più responsabili e meno fifoni. E mi chiedo, di cosa avete paura? 

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