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Cortina e Milano

I cantieri non fanno male alla valle delle Olimpiadi. Anzi, la fanno vivere

Antonio Pascale

Le contestazioni ambientaliste ai giochi invernali del 2026 da parte del gruppo ecologista Mountain Wilderness e di Luigi Casanova ricordano il solito bias di queste proteste: i troppi no ideologici che mirano alla mera conservazione del territorio

Nel 2026, ci saranno le Olimpiadi invernali di Cortina (e Milano). Le Olimpiadi sono molto belle, vuoi per lo spirito di gruppo, le emozioni, la sana competizione, il racconto dello sport e varie altre cose. Tuttavia le Olimpiadi, prima di diventare festa collettiva,  prevedono cantieri qua e là. A differenza dello sport, i cantieri non piacciono a nessuno, per i motivi che sappiamo: appalti sospetti, inquinamento, corruzioni varie. Se i media coprono tutto l’evento sportivo e quindi ci si sente vicini e partecipi, meno spazio viene dato alla preparazione dell’evento, quindi, in effetti, i cittadini si insospettiscono: che mai saranno questi cantieri? Chi ci guadagna? Chi paga, chi inquina? Metti poi che queste sono Olimpiadi invernali, quindi si tratta di costruire in una valle, che nel ricordo è sempre bella e verde, metti anche che accanto alle opere funzionali allo sport, pista da bob e altro, ce ne sono alcune correlate, come per esempio la costruzione di un ospedale, capite bene che l’indice di sospetto aumenta, e infatti da un po’ di tempo nella valle si stanno organizzando alcune proteste, tutte pacifiche, ovvio.

 

Così, il gruppo ecologista guidato da Mountain Wilderness ha messo sotto osservazione tre opere in programma per i Giochi, tra le quali il progetto del nuovo ospedale da 280 milioni che un gruppo di imprenditori vorrebbe costruire in un’area considerata marginale e inadatta. Adesso, è chiaro, su questioni siffatte ci si scatena, chi è a favore dei cantieri maledice gli ecologisti, i signori del no. Chi invece è contro maledice i signori del sì facile, dell’appalto in quattro e quattr’otto.

 

Ora, nella fattispecie, il gruppo che sta guidando la protesta, Mountain wilderness, è guidato da una ex guardia forestale, Luigi Casanova, che in una vecchia intervista del 2016, reperibile ancora in rete, disse una cosa che mi sorprese molto: “Non sono un ambientalista di città, dovete mettervelo bene in testa”. Intendeva dire: “Non è facile capirsi. Loro guardano alla natura, ai boschi, alle montagne come a cattedrali. Cattedrali da conservare immutabili. Sì, dico io, ma voi lo vedete il vostro Duomo di Milano? Quante volte c’è un cantiere attorno? Il nostro ambiente, la natura, le Dolomiti si conservano anche intervenendo, agendo, mica dicendo sempre ‘no’. E’ come essere in un cantiere”.

 

Sinceramente, che bello, la pensa come me. Se si parte dall’idea di natura come giardino incontaminato, tipico bias degli urbanizzati, o di quelli che amano gli insostenibili prati all’inglese tipici di tanti cortili, allora capite bene che non c’è futuro per le valli. Una valle è come un monumento, è viva finché io sono vivo o la rendo viva con la mia attività. Se vogliamo ripopolare quel tanto che basta alcuni luoghi abbandonati, bisogna prevedere dei cantieri, cioè fare opere che permettano a chi ci vive una vita decente e meno impattante possibile. Certo, tra le opere conteggerei certamente un ospedale e sfrutterei al meglio anche un’Olimpiade, evitando dei no continui e vigilando su altre cose, come diceva, appunto, in quell’intervista Luigi Casanova, proprio la persona che ora sta organizzando le proteste pacifiche contro alcune opere delle Olimpiadi. Certo, avrà le sue ragioni, che vanno sondate ma alla fin fine tutto sta a mettere su un cantiere (critico) attraverso il quale un no ideologico si trasformi in un sì logico.

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