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L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul calciobalilla

Giovanni Battistuzzi

Solo una cosa si trovava nelle case del popolo, negli oratori, nei bar e nelle sezioni del Msi, il biliardino. Lo volevano tassare come fosse un videopoker, ma ora è tutto rientrato. Ci volevano le tasse per riscoprire che il nostro paese è unito dalle aste e dalle sagome dei calciatori in plastica

I bar sono cambiati, sono sempre meno quelli che c'hanno le listarelle di legno alle pareti per non sporcare i muri. C'era pure scritto nelle norme igieniche del ministero, erano gli anni Sessanta, che le listarelle di legno alle pareti erano consigliate, non necessarie, ma consigliate. Solitamente i bar con le listarelle di legno alle pareti avevano le sedie impagliate, sedie che rivaleggiavano per diffusione con quelle in plasticone duro. E ovviamente i bar con le sedie in plasticone duro non avevano le listarelle di legno alle parete. Funzionava così.

 

Ormai non ci sono né i primi né i secondi. I bar si sono evoluti, ma non sono cambiati poi tanto. Si continuano ad assomigliare tutti, solo che sono più imbellettati, con mobili moderni, minimali, pure troppo.

 

C'è qualcosa però che in molti bar non è cambiato. Il calciobalilla o calcino o biliardino o in tutti gli altri modi nei quali lo si vuole chiamare. Quello è rimasto, magari risistemato, restaurato, di moderna concezione, eppure per funzionamento uguale spiccicato a quello che occupava il fondo del locale dei bar con le listarelle di legno alle pareti.

 

Il calciobalilla o calcino o biliardino o in tutti gli altri modi nei quali lo si vuole chiamare, è stato, per anni e decenni, il fondamento dell'Italia, Repubblica democratica fondata sul lavoro. Perché c'era ovunque e univa anche quello che la politica o la fede aveva disgiunto. C'era nelle case del popolo e nei circoli repubblicani, che in certe regioni erano i circoli di “destra”, saltava fuori pure nelle sezioni del Msi. E in ogni oratorio che si rispetti, perché, come scriveva Giovannino Guareschi, “non esiste luogo di giovani, e gli oratori sono luoghi di giovani, nei quali manca un biliardino”. Universale, superpartes e interclassista.

  

E anche quando le sale giochi iniziarono a superare per diffusione le case del popolo e gli oratori, il biliardino non poteva mancare, perché le luci dei videogiochi erano un'attrazione irresistibile per i ragazzini che sognavano le consolle, i Commodore e gli Amiga, ma le consolle, i Commodore e gli Amiga costavano un sacco e mica tutti se li potevano permettere. Invece una partita a calciobalilla o calcino o biliardino la si finiva per fare sempre, che con un gettone ci giocavano in quattro e per ben più tempo di quanto il videogioco concedeva.

  

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Nessuno, nemmeno le mamme più severe, quelle che stavano attente in modo ossessivo alle frequentazioni dei figli e si appostavano per sbirciare cosa facevano e con chi pomiciavano, sempre che pomiciassero, aveva da ridire del calciobalilla. Ci si perdeva mai niente al calciobalilla. Se si giocava a soldi la posta in gioco era al massimo il gettone, o le cinquecentolire, successivo. Il biliardo impauriva, si diceva mai vado a giocare a biliardo, che il biliardo evocava sempre stanze piene di fumo e punti che si trasformavano in milalire (o euro per evoluzione del conio). Pure il pingpong era visto con sospetto, che era roba cinese, roba da Mao e compagni che si sa mai cosa progettavano di eversivo. Il calciobalilla no e nonostante il nome che evocava il ventennio, ma nemmeno troppo, che c'era pure la macchina. 

 

Viene da chiedersi dove siano stati negli ultimi decenni i politici e quelli dell'Agenzia delle Accise, delle Dogane e dei Monopoli per aver solo pensato che calciobalilla, carambola, biliardo, flipper, freccette potessero essere messi nello stesso calderone dei videopoker, o meglio a imporre l’imposta sugli intrattenimenti (Isi), in pratica quella che si applica ai giochi a pagamento con vincita. Si vince a biliardino, ma al massimo la partita successiva.

  

Entro il 30 aprile i gestori avrebbero dovuto fare la richiesta del “titolo autorizzativo” all’Agenzia delle Dogane per poi dover versare la tassa che ammonta all’8 per cento dell’imponibile medio forfettario oltre al limite Iva.

 

Le tasse sono un po' come il calciobalilla, ma all'incontrario. Raggiungono ogni luogo, ogni identità politica e religiosa e non fanno distinzione tra chi le deve pagare, o almeno non dovrebbero, poi si sa come vanno le cose. Piacciono mica le tasse, al contrario del calciobalilla.

  

Per questo è accaduto quello che è accaduto, ossia il levarsi collettivo in difesa del calciobalilla. Colpa del governo, dicono, dell'articolo 18 del decreto n. 65 del 18 maggio 2021. Che poi a dire il vero a cercarlo in Gazzetta ufficiale è mica chiaro il perché di questo scagliarsi contro il decreto n. 65 del 18 maggio 2021, che riportava le “Misure urgenti relative all'emergenza epidemiologica da COVID-19” e che di articoli ne aveva 17.

  

Chissà. Fa niente in ogni caso. Che il levar di scudi al grido non toccate il calciobalilla ha prodotto una nuova norma inserita nel maxiemendamento al dl Pnrr approvato in Senato (ora al vaglio della Camera) che stabilisce che entro il 15 novembre di ogni anno l’Agenzia delle Dogane dovrà individuare quegli apparecchi “meccanici ed elettromeccanici che non distribuiscono tagliandi” che saranno esenti dall’obbligo di verifica tecnica e conseguente nulla osta da parte della stessa Agenzia oggi necessari per l’utilizzo.

 

L'Italia è una Repubblica democratica basata sul calciobalilla o calcino o biliardino. E vissero tutti felici e contenti.

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