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letture diverse

Per un'ecologia della mente, spiegato con la letteratura russa

Paolo Nori

I dubbi di Zamjatin sulle verità dell’oggi. Gli ottimisti russi di Cechov, lo schiaffo all’individualismo di “Guerra e pace”. E Nori è sicuro: non c’è nessuno che può inquinare il mondo se io lo tengo pulito

Pronoponiamo di seguito il testo del discorso pronunciato da Paolo Nori il 25 marzo alla Fondazione Feltrinelli di Milano nell’ambito del convegno “Green Day. Per una cultura della transizione ecologica”.


 

Buongiorno. Si sente? Grazie. Allora, vi ringrazio per l’invito che è un invito che, un po’, mi ha fatto piacere, un po’ mi ha lusingato, un po’ mi ha anche preoccupato.  Perché del tema di cui tratta questo convegno, l’ecologia, io, non ne so niente.  E visto che in questo periodo si parla molto di Russia e io, che di Russia mi occupo da più di trent’anni e che, in Russia, ci ho vissuto per un paio d’anni e che, in Russia, quando riesco, ci torno tutti gli anni, io, devo dire, di quel che sta succedendo in Russia capisco pochissimo, e vedo e sento un sacco di gente che non son mai stati in Russia, non han mai scritto né letto una lettera, nel senso di un carattere, in cirillico, e di quel che sta succedendo in Russia capiscono tutto, ecco io, quel che non vorrei, è mettermi a recitare la parte di quello che capisce tutto di tutto, perché io, posso recitare quanto voglio ma capire, capisco pochissimo. 
L’ecologia, per esempio: in materia di ecologia, devo dire, sono proprio ignorante

Nel senso che sì, io lo so, che bisogna fare la raccolta differenziata, io lo so, che dobbiamo riciclare i rifiuti, lo so, che dobbiamo smettere di usare i combustili fossili, però invece, a pensarci davvero, a esser sincero, non è mica vero.  Cioè non sono cose che so o, meglio, non sono cose che so io, sono cose che mi hanno detto degli altri e io ci ho creduto.  Ma se qualcuno mi chiedesse “Cosa bisogna usare, al posto dei combustibili fossili?”, io risponderei “Eeh. Non lo so”.  Perché lo so, per esempio, che le pale eoliche, per dire, sono una soluzione ecologica, però so anche che ci sono degli ecologisti, li ho sentiti a Radio Radicale, che le pale eoliche non le contemplano tra le soluzioni più sensate. In Italia, per lo meno. Mi sembra di ricordare. 

E anche se la maggior parte degli ecologisti dicessero, come forse dicono, che le pale eoliche vanno benissimo, io non sarei sicuro lo stesso. Perché so che, un secolo fa, la maggior parte degli scienziati occidentali erano d’accordo sul fatto che esistessero le razze umane, e molti eran d’accordo anche sul fatto che la razza bianca fosse una razza, è imbarazzante dirlo oggi, superiore, mentre adesso la maggior parte degli scienziati pensano che le razze umane non esistano proprio.  E io so, qui c’è una cosa che so, quello che ha scritto Evgenij Zamjatin in un racconto che in italiano si intitola Il destino di un eretico e che in originale si intitola Robert Mayer, che è il nome di un fisico che ha scoperto l’equivalente meccanico del calore, che è un principio che sta alla base della termodinamica; e non gli ha creduto nessuno, a Mayer, e il libro di Zamjatin (nella traduzione di Gemma Gallo) comincia così: “Tra il vecchio e il nuovo, tra l’oggi e il domani, c’è una lotta senza fine. Questa lotta si svolge in tutti i campi della vita umana, compreso quello della scienza. Per oggi si intende tutto quello che ha già assunto forma stabile, definita, ciò che viene considerato irrefutabile e infallibile. E proprio la credenza nella sua infallibilità, talvolta, fa sì che i rappresentanti della scienza ‘dell’oggi’ siano un elemento conservatore, che frena il continuo progredire della scienza. Eppure, per fare un passo avanti, occorre lasciarsi indietro qualcosa, ripudiare ciò che è invecchiato, dubitare della verità dell’oggi. Ma come si può mettere in dubbio ciò che è infallibile come un dogma della chiesa cattolica?”, ci chiede Zamjatin. 

E io, la risposta che gli darei è: non lo so.  Cioè in sostanza, io non credo alla verità della scienza. Per esempio: ammettiamo che tra voi che ascoltate ci sia qualche scienziato dell’ecologia, e mettiamo che questo scienziato sia perfettamente sicuro della utilità, faccio per dire, delle pale eoliche; ecco, io, a lui, al suo ottimismo scientista, non credo. Cioè ci credo, ma non mi fido. E mi verrebbe da dirgli quel che dicono i russi degli ottimisti secondo Cechov: che, in Russia, un ottimista, è un pessimista disinformato. Cioè che lui crede, di essere un ottimista, ma se si informasse scoprirebbe che non è così, diceva Cechov.  Mi rendo conto che qualcuno potrebbe chiedermi “Ma allora, se te non credi in niente e non sai niente, e dell’ecologia meno che niente, cosa sei venuto qua a fare?”. 

Ecco. Sono venuto perché quando Alessandro Fusacchia mi ha invitato, io gli ho detto “Guarda che io non so niente, di ecologia”. E poi subito dopo non so perché ho aggiunto “L’unica cosa che mi viene in mente, se penso alla parola ecologia, è l’ecologia della mente, che a Parma la chiameremmo ‘Ecologia della testa’”.  Io sono di Parma, e, non so come mai, è una cosa che ricordo spessissimo, alle persone con le quali ho a che fare, il fatto che sono di Parma.  Cioè lo so, come mai. Dipende dal fatto che il mio modo di parlare, di ragionare, o di sragionare, è molto legato alla lingua che uso, che è una lingua che ha molto a che vedere col modo (bellissimo) in cui parlano a Parma, mi sembra.  E Alessandro Fusacchia mi ha detto “Va bene”, e allora io adesso devo parlare non dell’ecologia, tipo raccolta differenziata o pale eoliche, ma dell’ecologia della mente, come se fosse più facile.  Eh. Parliamone. 

Allora io ho una bambina, che si chiama Irma, che non è più una bambina perché ha diciassette anni ed è più alta di me, ma da quando è nata, la mia bambina, 17 anni fa, nel 2004, io che, prima, ero un pessimista convinto, mi sentivo proprio come un pessimista russo, e lo sapevo che avevo ragione, nel mio pessimismo, mi sembrava di essere come Iosif Brodskij che, a Leningrado, ripeteva spesso al suo amico Sergej Dovlatov: “La vita è breve, e triste. Hai fatto caso a come, in genere, va a finire?”. 

Ecco, dopo, quando è nata mia figlia, io ho cominciato, non dico a essere ottimista, ma a capire una cosa che ha scritto Cesare Zavattini, che una volta  ha scritto “Sono pessimista, ma me ne dimentico sempre”.  E io, dopo che è nata mia figlia, anch’io. E, forse non c’entra, ma ieri, per dire, ho fatto un regalo minuscolo, a mia figlia, le ho regalato una piccola penna stilografica, con una cartuccia di inchiostro celeste, e lei era così contenta, che io gliene avrei regalata subito un’altra, e quella, non so come dire, il benessere che deriva dalla contentezza di un’altra persona, ecco quello lì, secondo me, è un passo verso l’ecologia della testa.  E quell’altra persona non deve essere necessariamente tua figlia: a me, per esempio, è una stupidata, ma ieri ero alla Iulm, a Milano, insegno traduzione dal russo, ero in commissione di tesi e a un certo punto una studentessa, non era una mia studentessa, studiava spagnolo, ha preso 110 e, al momento della proclamazione, era così contenta che non sapeva dove mettere le mani e era una cosa bellissima, da guardare. Ecco, quel piacere lì, che ho provato ieri alla Iulm di Milano per una cosa bella che succedeva a una persona che non conoscevo, secondo me è un passo avanti, per me, nella direzione dell’ecologia della testa.   

Una obiezione, mi viene in mente.  Che le cose che dico io, gli esempi che faccio, sono tutti tratti dalla vita quotidiana. Anche dei romanzi che scrivo, mi dicono spesso, “Te parli sempre della vita quotidiana”, e a me vien da rispondere che io, l’unica relazione che ho, è con la vita quotidiana. Che con la vita settimanale, con la vita quindicinale, con la vita mensile, con la vita semestrale io non ho una grande rapporto, con la vita quotidiana invece sì. 

Non so, per esempio, prendiamo una cosa poco quotidiana, eccezionale, prendiamo l’amore, che è questo sentimento così unico, così potente, così straordinario, una roba così grossa che a me mi dà quasi fastidio;  anche il verbo, amare, “Ti amo”, ecco io “Ti amo” è una cosa che non ho mai detto a nessuno e io ho paura che se mai lo dicessi, a qualcuno, “Ti amo” mi crollerebbe la faccia, dovrei poi raccogliere i pezzetti della mia faccia sparsi per tutta la stanza, io non son capace di dire “Ti amo”, anche per via del fatto che la mia lingua, il mio italiano, affonda le radici nella lingua di mia mamma, e di mia nonna, il dialetto parmigiano, e in parmigiano, me ne sono accorto qualche anno fa, non si dice “Ti amo”, si dice “At voj ben” (Ti voglio bene) e “A mor”, in dialetto parmigiano, non significa “Amore”, significa “Io muoio”, che è un po’ un’altra cosa.  C’è un racconto russo di Nikolaj Leskov dove c’è una signora che confessa a Leskov di aver tradito il marito e gli chiede se glielo deve dire, di averlo tradito, e Leskov le chiede “Ma lei lo ama?”. 

E lei ci pensa e poi dice “Le nostre contadine, dei loro mariti, non dicono ‘Mi ama’, dicono ‘Mi compatisce’. Compatire”, conclude questa signora, “è amare nella vita quotidiana”, e io credo che pensare che tua moglie, o tuo marito, oltre a volerti un po’ bene, debbano anche, necessariamente, per forza, anche un po’ compatirti, io credo che sia anche quello un passo verso un’ecologia della testa. 

Dopo, per via della vita quotidiana, mi viene in mente un’altra cosa che ho sentito una volta per radio in una trasmissione che si chiama “Uomini e profeti” e che, quando era condotta da Gabriella Caramore mi piaceva moltissimo, e una volta ho sentito padre Enzo Bianchi che gli han chiesto se lui pregava tutti i giorni e lui ha risposto “Esistono solo le cose che si fanno tutti i giorni”, a proposito di vita quotidiana, e io che non prego, e non credo in Dio, credo che abbia ragione. E la cosa che ho imparato, io sono vecchio, ho quasi sessant’anni, e la cosa che ho imparato di me, in questi ultimi anni, e che so, con certezza, è che il più grande nemico che ho, sono io. 

E questa cosa, applicata all’ecologia, vuol dire che non c’è nessuno che può inquinare il mondo se io lo tengo pulito. Lo so che è una cosa che sembra assurda ma è vera. E un’altra cosa che so, è che la testa di mia figlia è molto più pulita della mia. Mia figlia, 17 anni, non c’è bisogno di convincerla a fare la raccolta differenziata, la fa. Non c’è stato bisogno di convincerla a fare i vaccini, li ha pretesi. Non c’è bisogno di convincerla che la razza bianca non esiste e che non ci sono persone che, per razza, sono superiori ad altre, lo sa, perché i suoi compagni di classe vengono dai quattro angoli del mondo e lei non è mai stata razzista come son stato io.  E mi viene da dire che è normale anche il fatto che io, come Zavattini, sono pessimista ma me ne dimentico sempre, perché ho una figlia come quella che ho, che non è una figlia straordinaria (cioè secondo me un po’ straordinaria la è), ma non la è poi tanto, perché la stragrande maggioranza dei suoi amici sono così come lei, molto più ecologisti, dentro la testa, di noi. 

E se mi si obietta che io, che ho cominciato dicendo che non so niente, finisco basando tutte queste mie certezze su dei fatti che politicamente non hanno nessun significato, come il fatto di avere una figlia, e parlo del rapporto mio con mia figlia come se avesse qualche attinenza con un argomento politicamente così rilevante come l’ecologia, ecco a me vien da dire che una delle cose politicamente più rilevanti della mia vita è successa nel mio appartamento di Casalecchio di Reno quando, dieci anni fa, ero al telefono con mia mamma, io all’improvviso mi sono accorto che mia mamma, io, la trattavo male; mi sono come visto da fuori con tutta la rabbia che sfogavo contro mia mamma e mi son detto “Ma deficiente, ma cosa ti ha fatto, quella donna lì, oltre a partorirti e a volerti bene per tutta la vita?” e mi son fatto così schifo che, politicamente, il rapporto mio con mia mamma, e con il mondo, è cambiato completamente, quel giorno lì.  E nel senso dell’ecologia della testa, io lì ho l’impressione di aver fatto un passo avanti, quel giorno lì, nella direzione di un’ecologia della testa. 
C’è un altro momento memorabile, che mi torna sempre in mente quando penso a quella telefonata con mia mamma, non so perché; non ha niente in comune, con quella telefonata, forse il legame è il fatto che sono cose che sono successe una dopo l’altra, gli stessi giorni, forse, non mi ricordo, mi ricordo solo che avevo comprato dei pantaloni e che non mi andavano bene e che dovevo tornare in negozio a cambiarli, e che io, in quel periodo, e anche un po’ adesso, ma meno, i negozi di abbigliamento io son dei posti che sono a disagio; io ho due possibili umori, in un negozio di abbigliamento, o mi sento male o mi sento malissimo, cerco di starci meno tempo possibile, non so perché, mi sembra una gran perdita di tempo, non so perché, so che è così, e quella volta, io mi ricordo ci ho pensato tutta la notte, “Nooooo,” pensavo, “devo andare nel negozio di abbigliamento a cambiare le braghe, nooooo”. 

Poi dopo, il mattino dopo, la prima cosa che ho fatto è stato andare nel negozio di abbigliamento a cambiare le braghe e ho trovato una commessa così  gentile, così brava, così capace di fare il suo mestiere, mi ha perfino sorriso, alla fine, incredibile, e io sono uscito da quel negozio di abbigliamento che stavo così bene, e ho pensato che le commesse dei negozi di abbigliamento sono responsabili dei nostri umori, un mestiere molto politico, fare la commessa di un negozio di abbigliamento, ho pensato, e molto ecologico, mi viene in mente adesso.  Cioè, per riassumere, noi, vecchi, siamo abituati ad un mondo i cui valori sono stati riassunti in un paragrafo di un discorso di David Foster Wallace: “La cultura contemporanea ha prodotto ricchezze straordinarie e comodità e libertà personale. La libertà di essere tutti dei signori di minuscoli regni grandi come il nostro cranio, soli al centro del creato”.

Io sono un individualista, molto individualista, e bastiancontrario, credo di avere sempre ragione io, e qualche anno fa, in un momento molto doloroso della mia vita, nostra figlia era piccola, ci siamo separati, io e sua mamma, Francesca, e in quel periodo, per un lavoro, ho riletto Guerra e pace, e in quella lettura di Guerra e pace ci ho trovato una cosa che non ci avevo mai trovato: che le persone che frequentiamo sono come i nostri sistemi solari, e le nostre orbite dipendono da loro, e io in quel momento, mi si era spento il sole, non sapevo più intorno a cosa orbitare, e ero rimasto lì come un coglione, con tutto il mio individualismo e la mia libertà. 
Allora l’ecologia della testa, è, molto banalmente, io sono individualista, bastiancontrario e banale, imparare a stare con gli altri, imparare che esistono gli altri, andare verso gli altri, uni vers alia, gli uni verso gli altri, per dirla con Pavel Florenskij. 

E forse, delle volte, qualcosa di più.  Anna Laura Braghetti è una brigatista che ha partecipato al rapimento di Moro e ha ucciso Vittorio Bachelet e ha scritto insieme a Paola Tavella un libro che si intitola Il prigioniero.
“Ai funerali di Vittorio Bachelet – scrive la Braghetti – la famiglia perdonò gli assassini, pregò per me. Adolfo Bachelet prese a girare per le carceri e a intrattenersi con i detenuti politici. Fu così che incontrò Francesca, e le chiese di me. Mi raccontava spesso dei figli e delle figlie dell’uomo che io ho assassinato, ma la domanda ‘Perché proprio mio fratello?’ non era un ingombro fra noi. Da lui ho avuto una grande energia per ricominciare, e un aiuto decisivo nel capire come e da dove potevo riprendere a vivere nel mondo e con gli altri. Ho capito di avere mancato, innanzitutto, verso la mia propria umanità, e di aver travolto per questo quella di altri. Non è stato un cammino facile. Quando si ammalò, trascorsi molto tempo con lui, e verso la fine mi disse: ‘Io muoio, ma non ti lascio sola, perché per te c’è sempre mio fratello Paolo’. Don Paolo è il cappellano della città universitaria. 
Non sono andata ai funerali di Adolfo. Lo desideravo, ma in quella chiesa sarebbero potute esserci persone cui non posso imporre la mia presenza, per le quali io sono un insulto. Ho mandato una lettera senza firma per ringraziare Adolfo di avermi indicato la via della riconciliazione, mi hanno detto che è stata letta. Molti devono aver capito da chi proveniva. Ho poi telefonato a suo fratello, che ha voluto vedermi e mi ha regalato una statua della Madonna. L’ho affidata alla mamma di Francesca Mambro, perché con lei mi sembra al sicuro.
 

Mia madre è stata travolta da un’automobile sulle strisce pedonali mentre andava a prendere l’autobus. Era impiegata alle Poste. Aveva appena affidato me e mio fratello, usciti dall’asilo, a mio padre. Facevano in modo di non lavorare negli stessi orari perché uno di loro potesse sempre stare con noi. Fui io a girarmi indietro, mentre già trotterellavamo verso casa, e la vidi riversa sulla strada. Dissi a papà che la mamma era caduta, e mi sembrava che la sua testa fosse in una posizione strana. L’hanno portata all’ospedale ma è stato completamente inutile. Si chiamava Gina.
 Recentemente sono stata invitata a parlare in Campidoglio a un convegno sul carcere organizzato dalla Caritas, e fra gli altri relatori c’era anche il figlio di Vittorio Bachelet. Ci siamo conosciuti. Mi ha parlato e mi ha detto che bisogna saper riaccogliere chi ha sbagliato. Lui e i suoi familiari sono stati capaci di farlo addirittura con me. Li ho danneggiati in modo irreparabile e ne ho avuto in cambio solo del bene”.

Ecco, questa, secondo me, è l’ecologia della testa. Rendersi conto di quello che si fa agli altri. E’ difficile, costa fatica, ci voglion degli anni, e credo sia meraviglioso, riuscirci.

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