(foto Olycom)

Il cane bullo. Quando l'animale domestico diventa un bene da rubare

Francesco Palmieri

Aumentano i rapimenti di cani, soprattutto degli eleganti parigini bouledogue. Ora costano cari, ma prima era la razza che lottava coi tori

I poveri copiano ai ricchi vizi e vezzi, i ricchi rubano ai poveri pietanze prelibate, melodie popolari, il comunismo e alcuni animali. Dal pagliericcio al cuscino di stoffa, dalla corda al guinzaglio di pelle, dalla zuppa coi colli di pollo al pâté monoproteico, l’ascensore sociale del bouledogue (e non bulldog) francese oscura le imprese dei più tronfi self-made man. Con il considerevole vantaggio di un protagonista che non può continuamente raccontare come e perché è stato tanto geniale da avercela fatta. Per levarvi questa curiosità dovete andare voi a frugare dentro la sua storia, e la curiosità nasce quando leggete sui giornali americani e sulle agenzie internazionali che il rapimento dei “Frenchies” si è ritagliato una casella sua nella statistica dei crimini, diventando la prima specialità del dognapping. 

Viene sì curiosità, quando incrociate sempre più spesso per la strada questi soggetti piccoli ma tozzi, dal muso schiacciato e dalle orecchie “a pipistrello”, e risalendo con rapido sguardo dal guinzaglio alla faccia di chi lo impugna vi sembra proprio un cane per tutti: l’anziano e la pischella, il grasso e il magro, l’estroverso e lo scontroso sono gli indistinti accompagnatori di monsieur le bouledogue, che ha sbaragliato per diffusione il più blasonato e poderoso cugino britannico, l’english bulldog icona churchilliana, il John Bull espressione del “tosto” carattere nazionale anche se non è mai diventato un beniamino a Corte – e sì che i Windsor sono canari assai.


Chi sono gli indistinti accompagnatori di monsieur le bouledogue, che ha sbaragliato per diffusione il più blasonato cugino britannico


Chi è questo cugino francese che negli Stati Uniti dovrebbe girare più con la scorta che con un dog sitter; chi è questo molosso di piccola taglia bello per la sua bruttezza, scelto per compagnia dalla influencer Chiara Ferragni, dall’ineffabile Lady Gaga che ne ha adottati addirittura tre; chi è il cane che ha posto in ombra i già diffusi e minuti carlini, che se adesso chiudi gli occhi ancora te li vedi a spasso con Marina Ripa di Meana per il centro di Roma negli splendidi anni Ottanta. Chi è questo proletario delle razze canine diventato una nuova pariniana “vergine cuccia”, e di cui nel 2011 furono iscritti al registro dell’Ente nazionale cinofilia italiana 597 cuccioli senza macchie bianche estese e 278 con macchie bianche estese, numeri lievitati rispettivamente a 2.844 e 996 nel 2020. Numeri approssimativi tuttavia, che non contemplano le centinaia di cani privi di pedigree riconosciuto né quelli che arrivano stipati in clandestinità sui camion dall’est europeo, allevati e commerciati in condizioni brutali, ammalati o spauriti ma a prezzi più accessibili per soddisfare la fame di bouledogue. Con una spesa inferiore ai 1.500 euro che perlomeno ci vorrebbero. 

Si sono inventati, con qualche strana selezione, addirittura la varietà dal manto blu, bandita dallo standard poiché portatrice di probabili tare genetiche. Perché si sa: la moda fomenta un business che alletta, prima di spegnersi, la riproduzione a livelli industriali di una razza piuttosto che di altre. Al principio c’è il film, un cartone, una serie televisiva o qualche indecifrata esplosione di gusto. Si moltiplicarono perciò i Collie al tempo di Lassie, i pastori tedeschi con Rin Tin Tin e tanti anni dopo per il Commissario Rex, i dalmata con la Carica dei 101. Ci sono state pure le stagioni dei cocker spaniel fulvi, degli Yorkshire terrier, dei labrador e golden retriever, dei pitbull e prima ancora s’espansero i Dobermann nevrili.

Ecco adesso l’invasione dei “Frenchies”, qualche tempo fa praticamente sconosciuti in Italia ma rarefatti persino in patria fino agli anni Novanta, quando i migliori esemplari si reperivano più nei Paesi Bassi che a Parigi. Eppure l’ennesimo piccolo molosso di nome Merlyn, che la France Press riferisce rapito qualche mese fa a Oakland mentre passeggiava con la padrona, questo Merlyn che fu facile preda dei suoi sequestratori, vanta tra gli antenati guappissimi delinquentelli, campioni malgrado loro dei più spregevoli passatempi ideati dal genere umano. Si divertivano i parigini, emuli degli inglesi, ad assistere alle lotte dei cani contro i tori, ai combattimenti tra cani o a scommettere su chi la spuntasse in certe prove di crudele ostinazione come quella di mordere le pale di un mulino senza mollarle intanto che giravano. La Societé centrale canine, tracciando la preistoria del “boule”, menziona le arene attive nella capitale francese alla metà del Settecento, precisando che la maggiore si trovava dove è l’attuale Place du Colonel-Fabien. Quei gladiatori furono molossoidi di più grossa taglia, da cui nel corso dell’Ottocento si selezionarono soggetti di minori dimensioni sia in Inghilterra sia in Francia, ma qual che fosse il loro peso, nel 1808 il Dictionnaire du bas langage ou des manières de parler usitées parmi le peuple recepiva “bouledogue” anche nel senso figurato di “homme brutal et grossier”. Nulla a che vedere con la vezzosa Matilda Ferragni, la ormai anziana cagnetta color champagne cui la padrona ha aperto un profilo Instagram che vanta 407 mila follower, probabilmente all’oscuro delle sue cruente origini bulle. Certo Matilda non sarebbe stata mai capace di emulare le gesta utili quanto raccapriccianti dei bouledogue addestrati, nel periodo dell’affamata Comune di Parigi, a uccidere con un morso alla gola i grossi ratti venduti al mercato, per consentire all’acquirente di portarseli a casa già disposti a venire cucinati. Fu quella del ratier un’ulteriore abilità del guappetto parigino, che forse gli provenne da incroci tra english bulldog e certi cani francesi, anche se la disputa fra le due sponde della Manica sulla paternità del “boule” ha rispecchiato le più serie diatribe scioviniste.


C’è stata la stagione dei Collie al tempo di Lassie, i pastori tedeschi con Rin Tin Tin e  i dalmata con la Carica dei 101. Perfino i cocker spaniel fulvi


 

La verità è che “la protostoria delle razze canine è, come quella delle nazioni e dell’umanità, quasi sempre avvolta nelle tenebre”, scrisse saggiamente l’ingegner Ernesto Tron, allevatore per diletto, in una classica monografia sui bulldog inglese e francese pubblicata da Hoepli nel 1946. Pare innegabile che almeno stavolta gli inglesi avessero ragione, però furono senza dubbio i parigini a portare l’opera cinologica a completamento.

Questa la storiografia sancita dallo standard ufficiale della razza, secondo cui fu “il prodotto dei diversi incroci compiuti da appassionati allevatori nei quartieri popolari di Parigi intorno all’anno 1880. A quell’epoca, da cane di scaricatori dei mercati generali parigini, macellai e cocchieri, seppe conquistare l’alta società e il mondo degli artisti grazie al suo aspetto fisico così particolare nonché al suo carattere, diffondendosi rapidamente”. I cagnetti di Lady Gaga – Koji, Gustav e Asia – sono dunque parvenu di assai più antico pelo. Ma se ai giorni straordinari della Belle époque bazzicavano ambienti assai misti, coltivando rudezza e tenerezze, negli attuali si sono bellamente imborghesiti. Così, quando il 24 febbraio dell’anno scorso tre balordi armati assalirono a Los Angeles il dog sitter della popstar, il poveraccio ci rimise un polmone colpito da un proiettile per difendere Koji e Gustav, che mica reagirono. Si fecero portare via mentre Asia, rimasta lì, leccava il ferito grave per consolarlo. I cani furono restituiti due giorni dopo da una complice dei banditi, che simulò di averli ritrovati per strada ingolosita dalla ricompensa da mezzo milione di dollari promessa dalla diva. Né il mese scorso un altro bouledogue rapito ha manifestato reazione alcuna a difesa del padrone, Robert Marinelli, aggredito e ridotto in fin di vita sul Sunset Boulevard durante la passeggiatina. Gli scopi dei sequestri – che stanno allarmando altri illustri proprietari come Leonardo DiCaprio, Madonna, Michael Phelps – sono di natura economica e non mirano a un riscatto. Anche la banda che prese i cani di Lady Gaga ignorava di chi fossero. E’ che i “boule” sono ambìti per il prezzo a cui possono essere rivenduti negli Stati Uniti, spiega l’American Kennel Club: la media oscilla fra i 3.500 e i 5.000 dollari. Vuol dire grosso modo, considerando un maschio di 13 chili (peso massimo ammesso dallo standard), un valore che parte da più di 250 dollari al chilo e va ben oltre per gli esemplari di stazza più piccina.

Non è una novità. Nel 1911 se ne fece una ragione il primo cinofilo italiano innamorato dei bouledogue: il marchese De Mari di Genova, il quale non badò a spese. Mandò a Parigi il sommo cinologo Giuseppe Solaro con l’incarico di procurargli il soggetto più bello che trovasse. Accurate ricerche condussero alla scoperta di Chiquito, proprietà di un lampionista, che per cederlo pretese la favolosa somma di ottomila franchi. Purtroppo per il marchese De Mari, il pregiatissimo cane conquistò sì il titolo di campione italiano, ma non ebbe progenie. La vita doppia del ‘boule’, tra la miseria dei faubourg e la noblesse dei nuovi estimatori, restituisce l’aria della Belle époque tanto quanto i souvenir dell’Exposition Universelle del 1889, la stupefazione per la Torre Eiffel, le dissipazioni nell’assenzio dei bistrot, gli impressionisti, i profumi e i miasmi, gli squallori e gli umori, gli artisti e gli apache parigini. Guardi in faccia – anzi nel muso – il bouledogue e lo rivedi sui disegni di Toulouse-Lautrec che immortalò Madame Palmyre, proprietaria del cabaret La Souris al 29 di rue Henri Monnier, con l’inseparabile molossetto Boubule dal manto caille (cioè in prevalenza bianco con pezzature tigrate). Lo guardi nel muso e lo raffronti alla fotografia che ritrasse Colette con il suo bullo battezzato Toby-chien, non un granché per standard perché aveva un orecchio dritto e l’altro no ma accomunato alla padrona dallo sguardo: più provocatorio che provocante. C’era già stata insomma, adesso lo sappiamo, una prima vague di bouledogue animata da intellettuali rimasti famosi e dimenticate cocotte, una passione trasversale che apprezzava del cane (come forse anche oggi) l’apparenza poco convenzionale e quei trascorsi da mascalzone, ragion per cui – rievoca la Societé Centrale Canine – divenne parimenti, “en compagnie du cigare et du costume masculin, un élément de revendication identitaire pour la communauté lesbienne émergente”.


C’è la Matilda di Chiara Ferragni e poi Koji, Gustav e Asia, i cagnetti di Lady Gaga, che sono sopravvissuti pure a un sequestro 


Piace talmente, adesso, che una giovane esperta di marketing e proprietaria di bouledogue, Federica Lesti, ha fondato una maison di moda tutta dedicata ai vestimenti per la razza e banalmente (pardon, proustianamente) l’ha battezzata Madeleine. Chissà se i progenitori si rigireranno nelle tombe dell’aldilà canino guardando i bulli del presente a passeggio col cappottino griffato. Fra quegli illustri padri della razza si tramanda il nome di Loupi, appartenente a un facchino delle Halles, di suo figlio Rabot de Beaubourg compagno inseparabile del falegname Charles Petit e del nipote Dick de la Mare che fu di un tal Ruffier, pittoresco rigattiere. E chissà come guarderà la Matilda dei Ferragnez dal paradiso piccolo dei cani, magari con sussiego nel vederla collocata (un po’) più in basso, quel campioncino tigrato di cui si assicurò il possesso addirittura re Edoardo VII, a dispetto degli english bulldog che – come ricordato – alla corte dei Windsor non s’imposero mai. Il sovrano si comprò il cane, Buffalo, nel 1903, sborsando molto meno del marchese De Mari: tremila franchi. Considerando che Buffalo era figlio di Rabot de Beaubourg, il bouledogue del falegname, si può ben dire dalle stalle alle stelle, o dal faubourg a Buckingam Palace nel giro sveltissimo di una generazione canina. Qualche anno dopo ottenne il suo esemplare, un maschio bringé cioè tigrato, anche la giovane granduchessa Tat’jana Romanov, secondogenita dello zar Nicola II: il cagnolino, battezzato Ortino, le sarà compagno nella prigionia finita col martirio di Ekaterinburg il 17 luglio del ’18.


Oggi, l’unico cane davvero parigino non è più diviso fra aristocratici e mauvais garçons né più a suo agio come fu una volta tra bettole e salotti buoni


Termina così, terminò con la Grande Guerra, la prima epopea d’oro del solo cane veramente parigino, che conquistò molti cuori nei paesi d’Europa e negli Stati Uniti, dove divenne anche progenitore della più elegante razza da compagnia dei Boston terrier. La seconda epopea, quella che il bouledogue sta vivendo adesso, non lo vede più diviso fra aristocratici e mauvais garçons né più a suo agio come fu una volta tra bettole e salotti buoni. Le cronache dei dognapping americani disvelano piuttosto questa strana storia di mauvais garçons reincarnati oltreoceano, i quali quasi obbedendo a un curioso dettato di karma si vanno a ripigliare dalle mani dei nuovi aristocratici il piccolo cane che fu già loro. Ma che forse nemmeno sa più come ammazzare i topi con un morso.

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