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Saverio ma giusto

I social invasi dalle battaglie civili, e nessuno si mostra più per il narcisista che è

Saverio Raimondo

Dopo l'invasione di Facebook da parte dei boomer, siamo migrati su Instagram. Ma ora il feed è saturo di infografiche impegnate e pipponi assurdi su problemi personali che ambiscono a diventare affare di stato. Ridateci un social frivolo e ammiccante. TikTok non è la risposta

ATTENZIONE: questo pezzo non parla del romanesco nella serie di Zerocalcare.

È ormai nei libri di storia che Facebook sia stato rovinato dall’invasione del feed da parte di un popolo barbarico: i boomer. Essi, cinquantenni e “over” di varia estrazione sociale e geografica, hanno infestato l’allora gradevole social fondato da Mark Zuckerberg (c’erano per lo più canzoni, video, pagine di eventi, piccoli retroscena sulle vite degli altri) con i loro logoranti “buongiornissimo kaffè”, immagini di Padre Pio / Gesù / la Madonna / i gattini, copia-incolla di bufale che per idiozia e falsità non arrivano nemmeno ad aspirare al ben più autorevole mondo delle fake news, patetiche catene di sant’Antonio, commenti imbarazzanti sempre in bilico tra il bavoso e le perdite di urina, indignazione, allarmismi, lamentele, e auguri di buona domenica – anche di mercoledì. Queste orde di boomer socializzati hanno reso Facebook così decadente e avvilente da spingere trentenni e ventenni ad abbandonare se non chiudere la propria pagina e migrare in massa verso Instagram, tutto foto e immagini, facendone il nuovo centro del mondo social.

Ma adesso a dire il vero, già da qualche mese, anche Instagram mostra le crepe, è noioso, suscita stanchezza e un’ansia crescente. Ma stavolta la colpa è dei giovani, millennial e generazione Z. Sono loro infatti ad aver portato nello scrollo di foto un tempo così piacevoli perché effimere il terribile vulnus dell’impegno, del contenuto, della rilevanza. Prima su Instagram era tutto un selfie con la bocca a cuore, un tramonto, una foto di cibo o una mezza tetta; e nelle stories potevi ammirare/invidiare 15 secondi di vita altrui, di solito colta in un istante di gioia (del resto la gioia, si sa, più di 15 secondi non dura). Instagram insomma era un intrattenimento perfetto mentre si stava seduti sulla tazza del cesso. Ora invece se c’è una foto in bikini è per la body positivity, un tramonto sul mare è per dire che dobbiamo salvare il pianeta, il cibo fotografato è solo vegano, sbucano infografiche tipo macchie in una malattia esantematica, nei selfie va di moda avere un broncio di una tetraggine est europea per poter denunciare nel post sottostante qualcosa o qualcuno; e nelle stories non si balla più, non si ride più, ci sono solo faccioni che ti attaccano dei pipponi assurdi su problemi personali che ambiscono a diventare affare di stato, o opinioni più o meno condivisibili – per lo più polemiche – che tentano la scalata alle questioni universali. 

Ma noi che visualizziamo sempre qui stiamo, seduti sulla di cui sopra tazza del cesso; per chi ci hanno preso? Il bello di Instagram era proprio il suo essere sfacciatamente frivolo in modo complice e ammiccante, un social votato alla superficie leggera della vita, libero ed emancipato dalla gravitas; adesso invece nessuno sembra avere più il coraggio o l’incoscienza di mostrarsi per il narcisista che è, tutti hanno bisogno di qualche nobile causa per mostrarsi; ma valla a trovare una battaglia civile che giustifichi una foto di piedi. E allora adesso, dove si va? TikTok non è la risposta: ci stanno già le influencer di libri, la vedo male, anche su Instagram è cominciata così. Mi appello a qualche nuova start-up: vi prego, fate un social anche per noi inguaribili cercatori di futilità, di leggerezza, di salvifica evasione dal peso del vivere e del postare.

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