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La comunicazione online di Salvini e Zemmour spiegata con il modello hungry&foolish

Ginevra Leganza

La cifra stilistica del profilo Instagram del segretario leghista sono i piaceri semplici. Mentre il transalpino dà lezioni di storia ai suoi follower

Non c’è paradigma politico, artistico, esistenziale che sfugga all’algoritmo del social. E non c’è niente di meglio del quadrato Instagram per comparare esemplari italiani e rispettivi sosia sparsi nel mondo. Venendo alle figure parallele dell’amor patrio, abbiamo due tipi umani diversissimi, questa volta separati da sole montagne: il cisalpino Matteo Salvini, ragazzo carnale e privo di malizia, e il transalpino Éric Zemmour, giornalista e politico in ascesa sbadatamente definito “provocatore”. Perché associarlo a questo termine che sa di zanzara o di piattola fastidiosa? L’ingresso in politica dimostra di un uomo la sua fede (buona o cattiva che sia), la sua fame (di gloria) e la sua follia. Non è che uno pensa di correre alle presidenziali francesi tanto per provocare: lo fa perché è un hungry&foolish. E perché ci crede. Ad ogni modo qui non si scrive di grandi storie, ma di insta-dettagli che tassellano biografie.

E allora partiamo dai 12mila tasselli (12mila post) di Matteo Salvini. Assestato sui 2 milioni e rotti di follower, del suo account si è detto quasi tutto, eppure – data la compulsione dei 4/5 contenuti giornalieri – c’è sempre qualcosa da aggiungere. Ebbene, Salvini è forse più un hungry che un foolish, ma in senso meno metaforico. Vanno scemando ma non mancano, infatti, le famose foto dei cibi brutti. Nutelle, paste, pizze cipollate... La cifra stilistica del suo account è la spontaneità. E l’autenticità imperturbata: non gliene importa niente di chi lo assale e gli dice “buzzurro”, “violento”, “fascista”. Anzi, è l’insulto il suo nutrimento. Se Zemmour è rapido e al vetriolo, Salvini sa incassare e crogiolarsi nel fango che gli piove addosso. A fronte di insulti oggettivamente squallidi – provengano da Toscani o Carofiglio – ha la saggia intuizione di sfoderare l’altra guancia (“Guardate cosa mi dicono… contenti loro” scrive su Instagram). Così come intuisce – consapevole dei suoi limiti – di dover delegare ai giornalisti tutto l’apparato ideologico: dunque posta frasi altrui facendole proprie. Un profilo di molte foto e molte scritte. Attualmente pochi video. Ma in fondo meglio così, visto che se parla fa venire in mente una di quelle frasi di Madame de Staël a proposito dell’italiano, lingua di charme musicale che spesso usa le parole come fossero suoni slegati dai concetti. Salvini è in tal senso molto musicale (due anni fa Ciriaco De Mita: “Salvini non parla, suona”).

Altra storia Éric Zemmour, sbarcato persino su TikTok, la prateria del video-entertainment. Il suo Instagram è la cassa di risonanza degli interventi in tv. Altro che suoni. Nel suo francese perfetto non c’è spazio per tentennamenti. Non c’è posto per foto di cibi oliosi. È tutto più asettico, per nulla raffazzonato. Anche l’alta definizione dei clippini denota una certa cura. Zemmour è preciso, affascinante e – ovvio – non ha bisogno di giornalisti: l’intellettuale è lui. Risponde a intervistatrici sgomente dicendo, come Barbero, che le donne sono diverse dall’uomo. L’abiura non lo riguarda: lo dice, lo posta e lo riposta in meno di 400 post e poco più di 100mila seguaci destinati a crescere. Cita Voltaire, Madame du Deffand, Émile du Châtelet… Dà lezioni di storia agli interlocutori. Gli si può dire pazzo, monomaniaco eccetera ma certo non somaro.

Prima i francesi e prima gli italiani come punti di congiunzione. Ma se il franco-berbero della banlieue parigina è stato affilato da una vita in salita, l’omologo italiano si pasce di piaceri semplici… Chi ha da insegnare e chi da imparare è facile capire. Com’è facile fare un primo passo: iniziare a seguirsi su Instagram!

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