La cerimonia d'apertura delle Olimpiadi di Roma 1960 (Wikipedia) 

Moralina olimpica ad uso di una città ferma e meravijosa

Giuliano Ferrara

Roma, o meglio la sua grottesca amministrazione, non ha voluto i Giochi, ma non le avrebbero fatto male. Da Tokyo idee pure sull’ineguaglianza e sul meticciato senza birignao

C’è una morale della favola a proposito delle Olimpiadi? Ovviamente no. A certe emozioni non si addice una gabbia di concetti o anche di semplici osservazioni. Ci sono però dei fatti che possono essere riperticati perché ciascuno poi ne faccia quello che vuole.

       

Roma, e dico Roma quando dovrei dire la risibile, grottesca amministrazione capitanata da Raggi, non le ha volute. Di più, ci ha sputato sopra considerandole il solito business impazzito, generatore di costi abnormi, una specie di supersagra infrapaesana e corrotta, con inutile sventolio di bandiere e medaglie, che meritava di essere castigata. Giovanni Malagò, che mi pare abbia riscattato la sua mondanità e un apparente talento dell’effimero, e con un certo agio, in quei giorni disgustosi e stupidi del gran rifiuto era a lutto, non capiva, si torcevano le sue budella. 

 

Roma è da sempre magnificamente e superbamente ferma, può permettersi anche un Petrolinetto all’amatriciana come il candidato Michetti, meravijoso!!!, Roma può tutto, ma una corsetta olimpica non le avrebbe fatto male. Not Italy again, ha commentato un giornale inglese dopo il centesimo di secondo d’oro della 4 per 100; e non sapeva che in realtà il capitolo olimpico, dal punto di vista del paese che ha eletto una nessuno al grido di onestà-tà-tà, e per quella ragione bassamente moralistica e infida ha rinunciato al trastullo atletico, è proprio un Italy again.

       

Altro fatto è l’intreccio tra le ideologie egualitarie spinte, e sopra tutto anti discriminatorie, e i risultati del gioco più spettacolare del mondo, che ha sfidato con baldanza il caldo umido e lo scenario triste di Tokyo senza pubblico. Nella vita sociale vista sotto il suo aspetto più banale, arrivare primi è segno di privilegio, di ineguaglianza nelle opportunità, è un peccato da scontare con la lagna, con la cultura del piagnisteo (Robert Hughes). Le Olimpiadi sono invece, è un fatto, una gigantesca fabbrica di discriminazione e di ineguaglianza: un muscolo non è eguale all’altro, un tendine che scatta come una molla è diverso da un elastico fiacco, e tutto il problema della gara sta nel discriminare, appunto, secondo una classifica che ha in cima la potenza o la saggezza del talento. Il festival mondiale classico della discriminazione e dell’ineguaglianza, con quel finale, ingombrante podio in cui uno sta su, primeggia, eccelle, luccica del metallo solare, e due più giù, dovrebbe farci riflettere. Certe cose si ottengono con i miracoli del centesimo di secondo, ma dietro un centesimo stanno l’applicazione o l’allenamento di anni, lo sforzo individuale e di squadra, una strana virtù che alcuni hanno e altri no. Punto. Riportare sulla scala del giudizio ideologico andante questo fatto non farebbe male agli eroi del livellamento sociale e della battaglia per il traguardo collettivo.

       

Infine lo ius soli eccetera. Sembra poco più di una boutade, invece questo fatto che a vincere sia la mescolanza di genere, diciamo così, e che senza il nero italiano con mamma badante non si sarebbe avuto il risultato del centesimo di secondo, è carico di significato. Nessuno predica il meticciato, ciascuno è libero di essere critico verso certi approdi del multiculturalismo, specie quando la differenza, la diversity, diventa un ron ron o un birignao insopportabile, però bisogna ammettere che sulla terra degli stadi olimpici, a proposito di “Blut un Boden”, terra e sangue, un po’ di varietà non guasta. Fatti, non sermoni.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.