Il corpetto è mio

Simonetta Sciandivasci

Billie Eilish su Vogue:  molto svestita, sexy, sicura di sé. Una svolta per la generazione Z

L’ultima volta che l’abbiamo vista, Billie Eilish aveva i capelli verdi, neri, lunghi, lisci, asimmetrici. Indossava pantaloni e magliette oversize, colori fluo, vestiti che erano involucri, gusci. Le linee del suo corpo non si riuscivano neppure a intuire. Diceva: “Non mi sono mai sentita desiderata dai miei fidanzati e questo ha segnato la mia vita”. Voleva annullare il corpo, di modo che niente ne fosse influenzato, come tutti gli adolescenti e in particolare quelli della sua generazione, gli Z, che dal corpo si rifiutano di trarre caratteri identitari, da una parte, e dall’altra gli assegnano una capacità di condizionamento pressoché totalizzante, paralizzante. 


Sulla copertina del prossimo numero del Vogue inglese, però, Billie Eilish compare per la prima volta molto svestita, sexy, bionda, sicura, esposta. Indossa un corpetto rosa di Gucci, guanti e gonna di lattice, color carne. Dentro il giornale, nelle altre foto, indossa ancora corpetti, pizzi, calze autoreggenti, trench, reggicalze, scialli, veli. Richiama le pin up, le dive hollywoodiane e mediterranee degli anni Cinquanta, l’immaginario immediatamente precedente la prima rivoluzione sessuale


Ha detto: se ti mostri diventi improvvisamente una troia, una facile e un’ipocrita. Ha detto, allora, tanto vale fare quello che mi pare, quello che mi fa stare bene. Il passo più avanti (o di lato?) rispetto allo smascheramento di trucchi e ritocchi e quindi all’elogio del corpo così com’è, è chiaro: non si tratta più di denudarsi, accettare bellezze diverse, imparare a riconoscerle disconoscendo i canoni che le hanno depotenziate. L’armonia con il proprio aspetto, quindi, non è più un fatto di disintermediazione, ma di indipendenza: si ripristina l’artificio e si elude il giudizio degli altri. Le vie per stare bene con sé stessi sono infinite e possono passare anche per strade passé e vintage. Le millennial hanno ancora negli occhi la mamma di Kate Winslet quando, in “Titanic”, le allaccia il corpetto spiegandole che non può andarsene in giro con uno squattrinato e, se vuole salvare la pelle sua e di sua madre, e non condannare entrambe a fare le cucitrici, deve fidanzarsi con il ricco cafone che la corteggia – dice “certo che è ingiusto: siamo donne, le nostre non sono mai scelte facili” e dà una tirata al corpetto che quasi fa sentire le costole della povera Kate che si contraggono. Le millennial, quindi, vedono nel corpetto un simbolo di sottomissione, castigo, menomazione: sono le stesse che hanno esultato quando hanno visto Frances McDormand ritirare un premio Oscar con i capelli arruffati e non un velo di trucco. 


Le Z, invece, riprendono i giocattoli – Billie Eilish non ha ancora compiuto vent’anni. Sono disinteressate alla seduzione: non trovano piacere nella conquista o nella caccia, bensì nella soddisfazione personale. Non sono gli altri a farti sentire a tuo agio: sei tu. Se decidi di indossare un corpetto, non importa quello che rappresenta perché non esiste più un immaginario condiviso e collettivo, o almeno così si crede: conta quello che addosso a te quel corpetto diventa, come ti fa diventare, cosa ti fa sentire. Nessuno ha rivendicato lo stridore dell’operazione, quindi potrebbe non essere voluto, ma è impossibile non pensare a che paradosso sia parlare di libera espressione di sé con addosso un corpetto che stringe i fianchi, costipa la pancia e richiama “Peyton Place”. Un paradosso interessante, che dice una cosa precisa: la libertà non ha parametri, né modelli, è impervia e complessa, forse irraggiungibile, è contorta, ed è un fatto di mediazione. Lo è sia quando la si esercita nella relazione con gli altri, sia quando la si cerca nella relazione con sé stessi.  


Billie Eilish su Vogue, con addosso quei corpetti, in fondo, non è più nuda di quando si vestiva di gusci: ha semplicemente capito che si cambia, ci si ritrova nei travestimenti, nelle sovrastrutture, negli ombretti. Talvolta, ci si ritrova persino nei vecchi canoni. Tutto dipende da quanto si è capaci di dominarli. Gran bella novità per l’icona di una generazione che vede coercizioni insopportabili anche nei nastri rosa. Dice Billie: dipende da come lo senti tu, quel nastro, non dal nastro.

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  • Simonetta Sciandivasci
  • Simonetta Sciandivasci è nata a Tricarico nel 1985. Cresciuta tra Ferrandina e Matera, ora vive a Roma. Scrive sul Foglio e per la tivù. È redattrice di Nuovi Argomenti. Libri, due. Dopodomani, tre.