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Fila all'italiana

Saverio Raimondo

Non solo vaccini: siamo tanto abili a saltare la fila quanto incapaci a organizzarne una
 

Il salto della fila è la disciplina olimpica nella quale da sempre l’Italia eccelle a livello mondiale: atletica leggera, anzi leggerissima. Nelle sale d’aspetto come alla posta, c’è chi prende la rincorsa per il salto in lungo; chi si porta l’asta per il salto in alto; chi fa il vago e tenta il salto in largo. C’è chi, agile e silenzioso, sguscia fra le gambe di chi gli sta davanti sbucando all’improvviso in cima alla fila; chi si appallottola tutto, con le ginocchia e il mento contro il petto, e rotolando butta giù le persone davanti a sé come fossero birilli; e chi semplicemente se la cava dicendo “sono qui solo per una ricetta”.

  

Figuriamoci se una simile specializzazione nazionale, impreziosita dalla fantasia personale e dall’estro del momento, non si sarebbe distinta anche nella campagna vaccinale anti Covid: forse la fila più lunga della storia italiana, dunque il più suggestivo e competitivo terreno da gioco per i campioni nazionali di salto della fila, dilettanti e under 21 compresi. Il paradosso tutto italiano però è che siamo tanto abili a saltare la fila quanto incapaci a organizzarne una: da sempre le file italiane sono flash mob informi, oscene ammucchiate zigzaganti, montagne di corpi l’uno su l’altro. Persino l’introduzione dei sistemi elimina-code in panetteria o negli uffici pubblici non è servita a nulla: si sono formate le file per prendere i numeretti (cioè delle risse con calci e spintoni), episodi di bagarinaggio con numeri già usati, contestazioni decimali.

 

Un anno fa, fuori dai supermercati durante il lockdown, sembrava che avessimo imparato a metterci in fila indiana, con tanto di distanziamento; ma era solo un esotismo passeggero. E così, agli atletici e agonistici saltatori di fila, giunti alla competizione della campagna vaccinale con glutei tonici ed elastici al posto del viso, quella che gli si è parata innanzi è stata la più complessa delle sfide: una fila non sviluppata in profondità, chiara e prospettica, dal primo all’ultimo, secondo una progressione logica e consequenziale; ma una via di mezzo fra un Nastro di Möbius e una visione cubista.

 

 

Il famigerato criterio di vaccinazione per categorie professionali, parallelo se non sovrapposto a quello anagrafico, ha reso il salto della fila per farsi vaccinare una corsa a ostacoli: chi si è messo a studiare per una laurea breve in Medicina o in Giurisprudenza, chi è andato a disseppellire genitori o nonni dalle case di riposo  –se non direttamente dalle cripte di famiglia – per reinventarsi caregiver (poi uno dice perché gli anglicismi: vuoi mettere con il più sminuente “badante”?), chi ha tentato di far passare il proprio impiego da “lavoratore presso me stesso” come indispensabile alla comunità ed esposto al contagio più virulento. A loro va tutta la mia solidarietà; compreso chi, arreso di fronte all’irrazionale balletto delle priorità professionali, non sapendo più da che parte saltare la fila ha fatto ricorso al doping chiamando l’amico medico o direttore sanitario.

 

La prossima volta (sì, secondo l’Oms ci sarà una prossima volta) le regole andranno fatte meglio: ne guadagnano sia chi la fila sedentariamente la rispetta sia chi più sportivamente la salta. In caso di pandemie e vaccinazioni future, sarà meglio seguire una logica condivisa e condivisibile; e se proprio si vuol vaccinare per categorie, si proceda per categorie porno, che hanno più criterio di quelle fissate dalle regioni italiane. Si vaccinano prima i Granny, i Vintage e gli Old/Young (i primi per età, i secondi per care giving); si procede poi con i Mature, le Milf e i Daddy; infine i Big Dick, le Double Penetration (per loro niente vaccino monodose, ci vuole il richiamo), le Teen e le Gangbang. Sempre che l’Anm non voglia costituirsi categoria porno per saltare la fila anche stavolta. 

 

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