Saverio ma giusto

Galateo post Covid

Saverio Raimondo

Ricordate quando erano i giovani a portare rispetto agli anziani? Sarà tutto il contrario

Forse – il condizionale è d’obbligo vista l’abilità del Sapiens a essere stupido – dopo un anno di pandemia cominciamo a capirci qualcosa. L’immunità di gregge, espressione cara ai virologi dediti alla pastorizia, non è un obiettivo perseguibile né realistico: la circolazione del virus non si può bloccare (salvo che non tratteniamo tutti il respiro per almeno sei mesi), né avrebbe senso farlo visto che la convivenza è possibile – certi coinquilini o le relazioni con partner tossici sono peggio del contatto con un positivo. L’obiettivo è abbassare la letalità del virus e ridurla a quella di una comune influenza: il Covid resterà tra noi come un male stagionale, roba da paracetamolo e via; e un giorno rideranno di noi, chiusi in casa per due anni perché fuori c’era il Covid, come noi oggi ridiamo dell’uomo primitivo che moriva per un raffreddore o per una pellicina.

 

Ad abbassare la mortalità ci penseranno i vaccini, e anche in tempi brevi se gestiti efficacemente; l’importante è mettere al sicuro le persone fragili, cioè le persone più anziane e quelle con patologie pregresse. Non occorrerà aspettare i giovani, che si vaccineranno se tutto va bene in autunno (autunno 2036 se giovani in Lombardia): dati scientifici alla mano, sotto i 39 anni – al netto di casi di fragilità individuale o del Destino – la mortalità è praticamente zero. A un anno dalla pandemia possiamo tranquillamente affermare che l’allarmismo sul virus “che uccide anche i giovani” era e resta terrorismo paternalistico, un pericolo accostabile all’aracnofobia, o quantomeno un timore scongiurato. Pertanto propongo nel mondo avvenire, nella civiltà post-Covid che ci attende fuori da questo tunnel, di aggiornare le buone maniere: fino a oggi infatti le nuove generazioni erano invitate a portare rispetto verso gli anziani; e se adesso fosse il contrario?

 

Voglio dire: prima del Covid gli anziani potevano dire di aver fatto sacrifici per tirare su figli e nipoti; oggi al contrario sono i giovani a potere dire di fare sacrifici per salvare genitori e nonni – i quali in molti casi questa vita domestica, pigra e un po’ abbrutita la facevano già prima della pandemia. Per 70 anni gli anziani ci hanno rinfacciato di aver fatto la guerra; per i prossimi 70 saranno le nuove generazioni a potere rinfacciare di aver fatto la Dad. Dal nonno partigiano al nipote zoomato. E anche sui vaccini (tranne toscane eccezioni) i giovani attendono – pazienti e un po’ rassegnati – il loro turno, lasciando che a sgomitare con gli ottantenni siano le categorie professionali, cioè altri anziani – nessun giovane ha una professione, e le uniche categorie che conoscono sono quelle porno.

 

Ecco perché, nella nuova normalità che ci attende, mi aspetto che gli anziani sull’autobus si alzino quando entra un giovane e gli cedano il loro posto (“Prego, si sieda: non vedrà mai una pensione, si goda almeno questo strapuntino”); mi aspetto che gli anziani aiutino i giovani a portare la spesa (“Mi sembra il minimo dopo che lei si è privato dell’esperienza di un Erasmus per permettermi di vedere ancora Rai1”); mi aspetto che gli anziani diano del lei – una terza persona non dettata dal distacco, ma dal rispetto – anche agli adolescenti, ai quali per ora non spetta nemmeno una goccia del più sospetto lotto AstraZeneca, ma che invece le restrizioni le subiscono tutte – a cominciare dal disagio di avere i genitori sempre a casa in smartworking. 

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