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Serve un giuramento di Ippocrate per chi fa informazione in tempo di pandemia

Mario Benedetto

Non scontri su pareri, ma notizie e soluzioni. La proposta di Myrta Merlino

Fare informazione significa raccontare i fatti e farlo in modo responsabile. Specie in una fase come l’attuale, che vede l’informazione impattare in modo ancora più importante e profondo sulla vita delle persone.

 

Per questo chi genera e diffonde informazione deve prestare un’attenzione ulteriore nel “maneggiarla”, con cura. Al punto che c’è chi, facendo ricorso a un interessante parallelismo, ha parlato dell’esigenza di un vero e proprio “giuramento d’Ippocrate” per giornalisti e operatori dell’informazione, il che non poteva che attirare l’attenzione in questa sede. E’ Myrta Merlino, conduttrice e giornalista economica di lungo corso, che qui spiega più in dettaglio cosa intenda con questa dichiarazione e in che modo, oggi, approccia il suo mestiere. E inizia così, con quest’originale proposta: “Si, ci vuole un nuovo ‘patto’ per i giornalisti: con l’inizio di questa pandemia, a mio parere, ognuno di noi ha dovuto riscoprire il senso ultimo del proprio lavoro, nel caso di noi giornalisti quella funzione di fare luce, di fare un lavoro di verità. È evidente, dunque, che in un contesto come questo si debba rispettare in modo sempre più puntuale la deontologia, una garanzia che metta le persone in condizione di valutare e comunicare correttamente quello che sta accadendo attorno a loro”.  

 

Aggiungiamo che si avverte sempre più l’esigenza di offrire al pubblico non scontri su pareri, ma notizie e soluzioni.

“Esatto, e in questo momento è d’obbligo il linguaggio semplice e credibile, che racconti e proponga soluzioni. L’inizio dell’emergenza ci ha fatto scoprire una vera solidarietà sociale. Il fatto di essere “tutti sulla stessa barca” responsabilizza nei propri comportamenti e dunque, soprattutto, nell’esercizio del proprio lavoro. Dobbiamo fare attenzione, però, che la situazione attuale,  di affaticamento e spesso d’impoverimento, non guasti questo clima e questa consapevolezza: le difficoltà e le diverse intensità con cui si vivono rischiano, infatti, di generare conflitti e scontri, , una lacerazione di quel patto sociale e solidale invece necessario. Per questo dobbiamo scongiurare il pericolo di ‘abbrutimento’ in televisione, dal canto nostro.  Solo così possiamo essere in grado di far arrivare messaggi anche alle persone più distanti da noi. Mi viene in mente un bellissimo libro,  L’amica geniale: una ragazzina dei quartieri più sfortunati di Napoli arriva a scuola, trova una maestra che le inizia a prestare libri per l’estate e in questo modo le consegna tra le mani uno strumento con cui emanciparsi da una situazione di degrado. Una storia che ci dice come i libri possano salvare la vita, così come accade oggi per l’informazione, se ben usata”.

 

Si parla tanto di questioni di genere. Effettivamente l’essere donna, madre, ha un suo peso nel tuo modo d’intendere il lavoro oggi?

“Ci vuole una sensibilità particolare nel gestire e rivolgersi al pubblico, agli ospiti, a generare confronto. E in questo rivendico molto l’essere donna, l’essere madre: ruolo che è molto cambiato negli anni e spero cambi, evolvendosi in senso positivo e conferendo alle donne più sicurezze, più libertà, politiche pubbliche di sostegno. Rimane però qualcosa di genetico nell’approcciare i fatti e nel guardare al futuro, pensando alla vita dei nostri figli. La costruzione del futuro è parte integrante del mio lavoro, di quello che faccio, per cui in un momento in cui senti che il paese versa in condizioni critiche pensi al dovere di lasciare qualcosa a questi ragazzi, scongiurando l’idea di vederli spaesati e impauriti, in una fase che scuote le fragilità umane. Una pressione psicologica che a volte non è percepita, ma agisce costantemente. In questo contesto, noi giornalisti abbiamo una grande responsabilità e il dovere di non spaventare, ma informare e farlo letteralmente, con garbo. Gli ascolti a doppia cifra di questi ultimi tempi credo  diano ragione al nostro modo di lavorare. E’ evidente che le persone si aspettino questo, da noi e dai mezzi d’informazione: punti di vista chiari e autorevoli, che argomentino senza urla o risse. Oggi credo le persone abbiano bisogno di essere rassicurate, di ascoltare soluzioni e non solo pareri. Nel far questo bisogna prestare attenzione a come si offrono loro i nostri prodotti, le notizie, considerato che può essere sottile il confine tra la denuncia e il terrore, di cui oggi gli spettatori non hanno proprio bisogno”. 

 

Sembrava impossibile ma assistiamo anche al rischio di “ideologizzare” l’informazione scientifica…

“Pensa, mi sono arrivati dei messaggi tramite social in cui vengo criticata perché riporto un’informazione di ‘sistema’, solo perché invito alla vaccinazione di massa!  Personalmente cerco di dare risposte a coloro che hanno dubbi legittimi, ma di isolare i messaggi pericolosi. Il tutto spiegando nel dettaglio i passaggi più importanti e delicati. Mi viene in mente l’intervento recente del prof. Le Foche che ha raccontato il meccanismo di funzionamento dei vaccini con una sorta di lezione sull’Rna-messaggero, spiegando il funzionamento dei vaccini che di fatto innescano l’invio di messaggi alla cellula senza che vi siano accessi a essa, dunque senza gli impatti sul nostro Dna di cui si sente parlare. La scienza avanza per evidenze scientifiche, prove. Dunque bisogna essere bravi a far capire come certi cambiamenti siano frutto di nuovi elementi acquisiti. A proposito di vaccini, tempo fa il professor Galli parlava della necessità di somministrare le due dosi previste mentre oggi è aperto a contemplare l’utilizzo di una sola di esse. E’ appunto il risultato dell’evoluzione che aumenta rapidamente la conoscenza di questo fenomeno. Il nostro  obiettivo è renderla comprensibile a tutti”.

 

In una fase di crisi bisogna non solo fare il proprio mestiere con il massimo scrupolo, ma anche cambiare certe abitudini o regole del gioco?

“Dobbiamo considerare una ‘presa in cura’ dell’informazione come fosse una riconversione bellica, a difesa dei diritti. Deve essere un’occasione per tutti, a partire dal modo in cui guardiamo alla vita e al lavoro. Mi ha molto colpita una dichiarazione di Sileri sul metodo con cui si lavora in ambito scientifico, semplice ma di gran significato. Ovvero: tra medici si discute, ci sono idee diverse, ma quando si entra in sala operatoria si fa quello che si è deciso. Così noi cittadini dovremmo imparare a confrontarci ma, una volta condivisa, va seguita una linea, per il bene di tutti”.

 

Come affronterai il tuo domani, in questa fase, e grazie a quale principale motivazione?

“Il più grande complimento che ricevo è l’essere definita una padrona di casa gentile. Questo è molto bello, non vuol dire non fare le domande, non farne di scomode o non esigere risposte puntuali, ma riguarda il clima con cui il confronto va in scena. Ho fatto di recente un’intervista molto lunga con Giorgia Meloni in cui si è parlato di Europa, del ruolo di Orban, insomma temi che possono invitare, per così dire, ad alzare i toni. Credo non sia corretto farlo e mi pare sia chiaro che non si tratti del mio stile, specie quando si parla della ‘cosa pubblica’. E della nostra salute”.

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