Mangiare sushi servito da un cameriere robot

A Roma c'è un ristorante dove ai tavoli serve un automa. Sostituiranno il personale? No, "non si può e non vogliamo automatizzare tutto", ci dice il proprietario

Gianluca De Rosa

Un ristorante di sushi dove a servire ai tavoli ci pensa un robot. Nulla di avveniristico in Giappone, in Cina e nell'Est tecnologico sono già tanti i locali dove i camerieri sono automi. Anche in Italia, da nord a sud, questi robottini portavivande stanno iniziando progressivamente a spuntare qua e là.

 

Adesso la novità è arrivata anche a Roma. A piazza Alessandria ha aperto pochi giorni fa un ristorante di sushi all you can it  gestito da "Massimo" Sun, 44 anni, e dai suoi due figli, tutto disegnato per stimolare suggestione futuristiche. Oltre ai robot nel locale di Massimo c'è uno schermo in 5d - un acquario virtuale con i pesci che sfuggono dalle mani curiose degli avventori - un plastificatore per suole delle scarpe e tanti altri piccoli gingilli delle tecnologia. Nessun timore però per i rischi dell'automazione. Spiega Massimo: "Su Facebook ci scrivono che questa scelta è pericolosa, che così le persone non lavoreranno più, ma non è assolutamente vero, non si può e comunque noi non vogliamo automatizzare tutto, solo creare un'atmosfera intrigante e innovativa per i clienti".

 

Nel locale di Massimo infatti accanto all'automa lavorano diversi camerieri in carne ed ossa. Una commistione apprezzata anche dai clienti, come racconta  una ragazza seduta al tavolo con un'amica: "Il robottino è molto carino e divertente, ma se ci fossero solo robot in sala la cosa diventerebbe inquietante".

 

Massimo è arrivato in Italia nel 1990 per raggiungere lo zio che a Roma aveva già un ristorante cinese. Anche lui poi ha aperto i suoi locali. Poi nel 2008 è passato al sushi. "È cambiata la moda e abbiamo cambiato business anche noi, spiega senza troppa retorica. "Noi cinesi siamo commercianti, pensi che mio nonno è venuto a Bologna nel 1934, vendeva bombole del gas". Poi l'Italia, di cui Massimo, con due figli di 18 e 16 nati e cresciuti qui, si sente cittadino. "Quando sono arrivato negli anni Novanta - dice - voi eravate degli innovatori, un'avanguardia. Rispetto a quello che vedevo in Cina qui c'era il futuro, ora è il contrario: quando torno lì mi rendo conto di quanto l'Italia sia ferma. C'è come un tic, una paura del futuro".

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