Tutti al cinema

Saverio Raimondo

Il film manifesto della nostra riscossa post pandemia dovrà essere “Ladri di biciclette elettriche”

I cinema hanno riaperto: la gente può tornare a sedersi in sala, togliersi la mascherina, sgranocchiare i popcorn e magari abbracciare il proprio convivente seduto nel posto accanto; peccato solo che sullo schermo non ci sia ancora nessun film da vedere. Per mesi i set sono rimasti chiusi, e ora si può tornare a girare film solo a patto di far rispettare il distanziamento sociale anche agli attori davanti alla cinepresa (pena una multa amministrativa non troppo alta ma comunque superiore all’incasso medio di un film italiano). Dunque niente scene d’amore né di schiaffi, che sono da sempre il 90 per cento del nostro cinema. Si possono girare solo campi e contro-campi, anche nel porno. Toccherebbe inventarsi qualcosa, ma i nostri sceneggiatori non hanno idee dall’ultima volta che ne hanno copiata una. Mi vedo dunque costretto ad avanzare io una proposta che spero possa contribuire a risollevare il cinema italiano da questa sua ennesima crisi. State a sentire: dato che la pandemia è stata “come una guerra”, di analogia retorica in analogia retorica possiamo vedere questo periodo “come un dopoguerra”, e il cinema italiano che verrà “come il neorealismo”. Dunque il film manifesto della nostra riscossa dovrà essere il nuovo “Ladri di biciclette”. S’intitolerà Ladri di biciclette elettriche.

     

Protagonista un disoccupato (interpretato da un attore non professionista preso dalla strada, o almeno così c’è scritto sul suo profilo Facebook: “Laureato all’Università della Vita” e “Imprenditore presso Me Stesso”), uno che già prendeva il reddito di cittadinanza e che all’indomani della crisi pandemica decide di entrare nel giro dei sussidi e degli incentivi di stato; e dopo lo sconto vacanze e le detrazioni sulla ristrutturazione domestica (il protagonista non ha una casa, ma non poteva certo rinunciare a una simile occasione e si è fatto ristrutturare lo scatolone dove dormiva così adesso ha il pluriball alle pareti), con il bonus mobilità si compra una bicicletta elettronica. Non fa in tempo a bloccare il traffico piazzandosi in mezzo alla strada con la sua pedalata incerta benché assistita, né a tagliare la strada a un automobilista, che subito gliela rubano. Chi sarà stato? Il nostro protagonista non ha visto il ladro in faccia a causa della mascherina – la sua: dopo quattro mesi non ha ancora capito come s’indossa e la porta sugli occhi. Per ritrovare la sua bicicletta decide allora di dare la caccia al ladro per tutta la città, accompagnato da suo figlio (interpretato da Marcello Fonte che per sembrare bambino recita tutto il film in piedi sulle ginocchia: David di Donatello assicurato, che durante la premiazione l’attore dedicherà fra le lacrime al suo fisioterapista). Insieme padre e figlio si recano in banca (il nostro protagonista sospetta che la bici gliel’abbiano rubata i Poteri Forti); ma quando al suo posto trovano solo un bancomat in modalità drive-in i due si convincono che Goldman Sachs non c’entra nulla e che la colpa sia tutta degli immigrati. Il nostro protagonista allora prova a organizzare un raid razzista, ma fa troppo caldo; allora picchia il figlio e, stremato, ruba un monopattino con il quale fa un incidente e muore – il film è ambientato a Roma. Regia di un esordiente.

     

Un film nudo e crudo, girato interamente con il telefono – un po’ per realismo, un po’ per mancanza di soldi. Contestato all’uscita per il ritratto impietoso della miseria del nostro paese (dirà il presidente Conte “I panni sporchi si lavano in famiglia, no al Mes”), si aggiudicherà l’Oscar come miglior film straniero – premio a sua volta contestato dai partiti nazionalisti italiani: “Non siamo stranieri”. Sul futuro già scritto del cinema italiano dopo un simile capolavoro, andate avanti voi.

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