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Se le manager sono poche c'è un problema di selezione della classe dirigente

Luciano Capone

Il bonus di Conte per un Mba executive a 500 donne è la risposta sbagliata a una questione seria

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte aveva chiuso gli Stati Generali con una proposta concreta: “Un voucher di 500 euro per tre anni per le donne che aspirano a diventare manager”. Inizialmente la proposta è stata accolta con sconcerto. Si è scoperto poi, a stretto giro, grazie a una pronta rettifica della comunicazione di Palazzo Chigi, che il premier si era confuso: non si trattava di un bonus da 500 euro per tutte le donne che “aspirano a diventare manager” ma di un voucher per pagare un Mba executive a 500 donne (non si sa selezionate come). Evidentemente il premier era stato istintivamente tratto in inganno da tutti i bonus precedenti e attuali che, chissà perché, sono sempre da 500 euro: quello per gli insegnanti, quello per i diciottenni, quello per le vacanze, quello per le bici… L’idea è quindi apparsa meno bizzarra, ma non per questo motivo è di per sé più sensata. O meglio, questo dipende dall’obiettivo che si vuole raggiungere. Perché la proposta non è stata avanzata dalle “donne aspiranti manager” ma dalle business school, che sono quelle che sicuramente ne trarrebbero un beneficio tangibile. Se lo scopo del bonus è aiutare le business school sicuramente verrà raggiunto, ma non si comprende perché concentrare un bonus così grande (il 100 per cento del costo del master) su così pochi beneficiari (500 donne).

  

Se invece l’obiettivo è far aumentare la presenza di donne in posizioni manageriali – o più in generale l’occupazione femminile – è un provvedimento molto costoso e completamente sbagliato. Innanzitutto perché parte da un presupposto errato: l’idea cioé che non ci siano donne manager perché sono in poche ad avere i titoli e le competenze. Ma i dati ci dicono il contrario: in Italia le donne diplomate e laureate sono più degli uomini, aumentano a un tasso superiore a quello degli uomini e concludono gli studi mediamente con un voto più elevato. E questo divario aumenta per quanto riguarda gli studi post-laurea, tipo i dottorati o gli Mba executive oggetto del bonus: come ha già scritto Serena Sileoni sul Foglio del 24 giugno: “In Italia, quasi il doppio delle donne rispetto agli uomini è iscritto a un master”. Il bonus di Conte quindi non farebbe altro che regalare un costoso master a 500 fortunate, selezionate non si sa i base a quale criterio (i soliti click day?), ma non cambierebbe la sostanza. Il fatto che, nonostante le competenze non manchino, sono poche le donne a diventare manager.

   

Chi si è posto questo problema, ribaltando però l’interrogativo e il punto di vista, è lo psicologo Tomas Chamorro-Premuzic, docente di business psicology allo University College di Londra e alla Columbia University. La domanda da farsi, secondo Chamorro-Premuzic, non è tanto perché siano poche le donne-manager ma: “Perché tanti uomini incompetenti diventano leader?”, che è il titolo del suo saggio appena pubblicato da Egea. Chamorro-Premuzic scrive, citando numerosi studi, che in genere le donne manager surclassano gli uomini: sono più capaci di imporre cambiamenti, hanno un rapporto migliore con i sottoposti, affrontano i problemi in maniera più flessibile e creativa. Il punto, però, non è che in generale le donne sono migliori degli uomini, ma che risultano tali perché per le donne è più difficile raggiungere posizioni di vertice e quelle che ci arrivano sono mediamente più qualificate e preparate degli uomini. Insomma, i criteri di selezione per le donne sono troppo alti. “Ma io rovescerei il discorso – scrive Chamorro-Premuzic – non sono abbastanza alti gli standard maschili. Poiché vogliamo leader migliori, non dovremmo abbassare i requisiti quando selezioniamo le donne, ma alzarli quando selezioniamo gli uomini”. E’ insomma quella dello psicologo una logica inversa rispetto ai bonus di genere e alle quote rosa, in cui si riserva alle donne una sorta di protezione o di tutela. Ciò che serve è un cambiamento culturale, perché troppo spesso le qualità come la sicurezza di sé (che è cosa molto diversa dalla competenza) e il narcisismo, che spiccano negli uomini, servono per superare una selezione ma non a essere un buon manager o un buon leader. Alla fine, la questione femminile è parte di un problema più ampio che riguarda il futuro dell’Italia: la qualità della classe dirigente e i criteri della sua selezione. Chamorro-Premuzic, da argentino, conosce bene le conseguenze di una pessima classe dirigente: “Un secolo fa l’Argentina era il futuro. Era non solo la terra delle opportunità ma anche uno dei paesi più ricchi del mondo, con un pil pro capita più alto di quello della Francia e della Germania. Eppure da allora l’Argentina è stata in costante declino, qualificandosi come uno dei pochi paesi al mondo in permanente moto retrogrado. La ragione principale? Un cattivo leader dopo l’altro”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali