(foto LaPresse)

Abbasso i disimpegnati

Simonetta Sciandivasci

Al tempo di #blacklivesmatter, condividere princìpi antirazzisti con il proprio partner è essenziale

I disimpegnati hanno perso appeal. Sono andati, finiti, kaputt. Nessuna giovane donna (o quasi nessuna) tollererebbe di accompagnarsi a un giovane uomo che non si dica femminista, ecologista, antifascista, antirazzista; qualcuno che non unisca la militanza alla professione di fede. Non ve la caverete battagliando su Twitter, né investendo centinaia di euro in cacao crudo della Tanzania, o lavandovi i denti con lo spazzolino in bambù, o firmando petizioni, o annuendo davanti a una diretta streaming di Alexandria Ocasio-Cortez. Non statevene seduti sui princìpi, non tanto perché prima o poi s’afflosciano (Longanesi), quanto perché non sono più sufficienti. E non è ancora tutto. Bisogna che v’accendiate, che bruciate di passione per le giuste cause, che la rabbia e l’indignazione vi si leggano sul viso, e infervorino le vostre conversazioni. Per farla facile: vi conviene credere in qualcosa che sentite davvero. Se simulate, ce ne accorgiamo e vi spediamo a casa vostra per sempre. La scrittrice Alex Shea ha raccontato sull’Huffington Post inglese di avere quasi lasciato il suo compagno, con il quale aveva intenzioni serie, quando ha capito che lui, seppur si dicesse d’accordo con il #blacklivesmatter, non riusciva a immedesimarsi nel dolore di lei.

 

Alex Shea invece seguiva le proteste con grande apprensione e dolore. Lei è una donna di colore e lui, invece, è un uomo bianco. Ha scritto che se prima della morte di George Floyd aveva notato che lui non dava il giusto peso alle piccole discriminazioni che lei subiva o che subivano insieme (scortesie nei ristoranti, occhiatacce, battute ostili da parte di sconosciuti) e aveva deciso di passarci sopra perché quella sbadataggine le era sembrata innocua, dopo è stato diverso. Ha capito che quella trasandatezza gli derivava dall’essere un bianco privilegiato, inconsapevole di cosa significhi essere discriminati, e allora s’è immaginata di crescere dei figli con lui e le si è prospettato l’inferno. Ricordate quando Kirstie Alley in “Senti chi parla” prova a figurarsi la vita accanto a John Travolta, e vede lui che, fumando e bevendo, insegna ai loro figli a ruttare mentre lei, incinta dell’ennesimo bambino, fuma e se ne sta in disparte, ridendo sguaiatamente? Allora, Shea ha domandato al suo compagno cosa pensasse delle proteste dei neri e quando lui ha risposto che era d’accordo ma che secondo lui non è così vero che la razza incide sul nostro destino, a lei è ribollito il sangue e ha pensato di farla finita. E lo avrebbe lasciato se lui non avesse riconosciuto il suo limite e non si fosse detto disposto a superarlo. Lei gli ha spiegato quanto la facesse soffrire il fatto che lui non condividesse la convinzione che il #blacklivesmatter potrebbe cambiare la vita di tutti, estirpando il razzismo, e che per questo ciascuno di noi è chiamato a contribuirvi. Naturalmente, alla fine, s’è quasi scusata con i lettori: “So che molte persone della comunità nera non condivideranno la mia scelta di restare accanto a un uomo che deve ancora capire che problema sia il razzismo, ma per me lui vale il mio sforzo”.

 

L’apatia del post ideologico non s’è trasmessa dai millennial alla Gen Z che, secondo l’Atlantic, condivide con i boomer la rabbia, la grinta, la voglia di intervenire, di brigare, di cambiare le cose, le persone, i destini, la vita, il mondo. E, in fondo, anche ai millennial, che fanciulli in fiore non sono più ma nemmeno sono rottami, tutto questo scendere in piazza ha scongelato il cuore, ispirato fermezze, instillato morali, resuscitato la santa voglia di vivere, incazzarsi, innamorarsi dei battaglieri, provare persino a esserlo.

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