E i bordelli quando riaprono?

La prima sera ad Atene e i tanti problemi per le prostitute

Il 15 giugno in Grecia hanno riaperto i bordelli che, come altre attività, devono rispettare le linee guida decise dal governo. L’utilizzo delle mascherine, le teste lontane tra loro, lenzuola cambiate a ogni incontro, pagamenti con carta di credito e un registro con i nomi e i numeri di telefono dei clienti. “Ma chi sarà mai disposto a darci le proprie informazioni personali?”, ha detto Anna Kouroupou in una conversazione con la Reuters: “Ve lo dico, si arrabbieranno tutti”, ha insistito Anna, che è una prostituta trans e guida “Red Umbrella”, un gruppo di sostegno ai diritti delle prostitute. Molte altre direttrici di bordelli ad Atene hanno ribadito la stessa cosa: queste regole sono ridicole. In realtà la prima serata – lunedì – è stata “vivace”, la carestia di sesso durante il lockdown s’è vista nella gratitudine delle mance, e le prostitute erano soddisfatte: durante il lockdown non hanno ricevuto alcun sussidio, e si sono aiutate l’un l’altra, anche scambiandosi i punti sulle tessere del supermercato che danno accesso agli sconti. Ma il timore riguarda il futuro: ve le immaginate le code fuori dai bordelli? Non le farà nessuno, questa è una clientela che non vuole fare nomi e non vuole mostrarsi, figurarsi se può restare per strada a fare la fila (la mascherina un po’ aiuta l’anonimato, comunque, è la distanza sociale che diventa complicata).

  

Preoccupazioni e ansie non sono un affare soltanto greco: i bordelli, pur con regole diverse, ci sono nei Paesi Bassi, in Austria, in Germania, in Ungheria e in Lettonia. “La pandemia ha messo a nudo – scrive proprio così Politico Europe – il limbo legale in cui molte prostitute operano nei paesi europei, rendendo impossibile l’accesso ai sussidi”. Durante il lockdown, questo voleva dire: zero soldi o violare le regole, aumentando i rischi personali di un lavoro che già molto sicuro per sua natura non è. Ora i bordelli, dove sono ammessi, riaprono.

 

In Belgio, dove non c’è una protezione legale per le prostitute ma una sostanziale tolleranza degli amministratori locali, soltanto chi era registrata come libera professionista è riuscita ad avere una compensazione parziale dei guadagni non avuti. Luca Stevenson, coordinatore del Comitato internazionale per i diritti degli operatori del sesso in Europa (Icrse), un’associazione che comprende un centinaio di organizzazioni, dice che l’assenza di uno status legale riconosciuto ha portato “all’esclusione dalle misure di emergenza”, “un dramma”.

 

Anche nei Paesi Bassi, dove la prostituzione è legale, le cose non sono andate bene. Sekswerk Expertise, un gruppo di ricerca di Amsterdam, ha fatto una rilevazione su più di 100 prostitute, di cui circa la metà ha fatto richiesta per i sussidi: un sex worker su 6 non ha fatto richiesta perché non voleva identificarsi, temeva che poi l’informazione sarebbe diventata pubblica. Soltanto il 13 per cento di chi ha fatto richiesta ha infine ricevuto un aiuto, tanto che è stato creato un fondo d’emergenza apposta, ma non è molto ricco. E intanto la città di Amsterdam ha deciso che le vetrine del quartiere a luci rosse resteranno vuote fino al primo di settembre, se tutto va bene: un secondo picco potrebbe far slittare la data. Il New York Times ha dedicato un articolo al problema, raccontando come molte prostitute siano costrette ora “a rischiare molto lavorando in segreto”: “Prima della pandemia se un cliente diventava violento – ha raccontato una escort – potevi andare dalla polizia. Ma ora non puoi perché quello che stai facendo è illegale”.

    

In Germania, dove la prostituzione è legale, i bordelli sono stati chiusi il 15 marzo e non c’è ancora una data di riapertura. Chi ha dichiarato il proprio reddito e la propria attività ha ricevuto i sussidi della disoccupazione, ma anche qui migliaia di lavoratori e lavoratrici ora sono costretti a operare illegalmente. Le prostitute straniere, per lo più provenienti dall’est Europa, sono rimaste “senza casa”, ha scritto Euractive: non hanno più le stanze nei bordelli dove vivevano e non sono riuscite a tornare a casa per via dei confini chiusi.

    

Il più grande e famoso bordello europeo si chiama Paradise ed è al confine tra Spagna e Francia, a La Jonquera, una città catalana dove ci sono molti altri bordelli. In Spagna la prostituzione non è regolamentata ma lo sfruttamento della prostituzione è illegale, così molte prostitute che con 80 euro si pagavano una stanza e due pasti al giorno al Paradise hanno perso tutto. Si vedevano per strada con la valigia in mano, contando sulla solidarietà dei paesi vicini.

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