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Proteggere gli ultimi dalle conseguenze del virus. Che cosa fa il Progetto Arca

Piero Vietti

Chi non ha casa non può #stareacasa. Parla il presidente Alberto Sinigallia 

Roma. “Stare a casa per chi non ha una casa è impossibile”. La voce di Alberto Sinigallia al telefono è forte, mentre dice al Foglio un’ovvietà che tanto ovvietà non è in questi giorni: quasi nessuno ci pensa, ma l’emergenza per il coronavirus ha reso ancora più fragili le vite dei fragili. I senza dimora innanzitutto, di cui Sinigallia si occupa da anni con il Progetto Arca, attivo soprattutto a Milano, ma anche a Roma e Napoli, aiutando anche famiglie in difficoltà, persone con dipendenze, migranti. Chi non ha una tv o una connessione internet e non frequenta hashtag che invitano alla quarantena responsabile fa più fatica a capire cosa succede, specie se non ha un posto dove dormire. “Da subito abbiamo iniziato ad andare in giro con la nostra unità mobile a misurare la febbre e fare informazione tra i senza dimora. Distribuiamo centinaia di maschere e guanti, anche se da qualche giorno ci scontriamo con un problema di reperimento, ci bloccano gli ordini alla frontiera. I senza dimora sono abituati a sottovalutare i loro problemi di salute, figurarsi questa minaccia”. Per questo i volontari del Progetto Arca fanno informazione. “La mancanza assoluta di igiene personale è ancora più grave oggi. Con il comune di Milano abbiamo fatto dei sopralluoghi per installare dei bagni chimici, stiamo distribuendo shampoo secco e salviette perché chi non ha una casa possa pulirsi: chi era abituato a entrare nei bagni dei bar non può più farlo, si arrangiano per strada”.

  

 

E poi c’è il problema dei pasti. Molte mense sono state chiuse, poche hanno riaperto. “Abbiamo incontrato persone che non mangiavano da quattro giorni – continua Sinigallia – persone che magari di solito chiedono l’elemosina e adesso non possono più perché in giro non c’è più nessuno e i pochi che escono non li avvicinano neanche più”. Il camper dell’unità mobile esce anche due volte al giorno in base alle chiamate dei cittadini che segnalano a un operatore attivo 24 ore su 24 situazioni di persone in difficoltà: “Interveniamo con infermieri, medici e volontari, se la situazione è grave portiamo chi abbiamo soccorso al ‘piccolo rifugio’, dove abbiamo quindici posti letto. Poi avvisiamo il comune, diamo loro un pasto caldo, la colazione e il pranzo da portarsi via per il giorno dopo”.

  

Il Progetto Arca fa accoglienza emergenziale soprattutto a Milano, grazie anche a una decina di dormitori ormai aperti h24, un centinaio di case accoglienza per le famiglie e progetti di integrazione sociale. Sinigallia guarda ai prossimi mesi con preoccupazione: quando finirà l’emergenza sanitaria sarà più evidente l’emergenza economica e sociale: “Aumenteranno i poveri e i senza dimora, quelli sulla linea di confine dell’indigenza tracolleranno di qua. Penso agli sfratti per morosità incolpevole: chi ha perso il lavoro non potrà pagare, chi si ‘arrangiava’ lavorando saltuariamente difficilmente ricomincerà a fare qualcosa. Già tocchiamo con mano queste problematiche, in tanti con situazioni del genere ci chiamano”. Parlando con Sinigallia si capisce bene che quello di un mondo che sta finendo e non sarà più come prima non è un esercizio per giornalisti di costume o tweet pensosi, ma un dramma che lacera il tessuto sociale: “C’è uno strappo da ricucire, dobbiamo iniziare a pensare in modo nuovo, quello che facevamo prima non basterà più: fino a un mese fa la mensa dell’Opera San Francesco sfamava 2.500 persone, dopo l’emergenza mi aspetto almeno 10.000 richieste. Negli ultimi tempi avevamo iniziato a vedere i bambini alle mense dei poveri, impensabile fino a 7-8 anni fa, che cosa succederà dopo?”.

  

Oltre ai senza dimora ci sono sempre più famiglie affamate: “Grazie a una raccolta fondi riusciamo a integrare i prodotti che ci dà il Banco Alimentare per portarli a chi non ha da mangiare. Dopo un accordo con Kia Motors e l’azienda Supermercato24 abbiamo ora a disposizione quattordici auto per consegnare la spesa a chi non può uscire di casa”. Progetti nati in emergenza che rischiano di durare a lungo. “Oggi aiutiamo 500 famiglie, vogliamo arrivare almeno a mille”. Molti volontari sono costretti a casa, “gli over 65 li abbiamo lasciati noi: non ci sentiamo di esporli al pericolo”. Dimenticati dai decreti e dalle narrazioni dei media, i volontari vedono però fiorire attorno a loro gratuità e solidarietà: “Abbiamo visto cittadini donare cibo ai senza dimora, i nostri sostenitori si sono mossi tutti, chi mandandoci pacchi, chi donando denaro, chi facendo compagnia anche solo con delle telefonate”.

  

Bisogna già pensare al dopo, evitare il tracollo sociale. “Un’idea potrebbe essere quella dei social market, come quello che abbiamo a Napoli, dove i poveri fanno la spesa e ‘pagano’ con il loro lavoro volontario là dove serve”. Un modo intelligente e attento all’umano per andare oltre l’assistenzialismo. “Bisogna accendere una luce sui volontari e gli operatori sociali – conclude Sinigallia – Fanno un lavoro fondamentale e ora sono in crisi. Ci sono attività di volontariato che hanno dovuto chiudere perché causavano assembramenti. Anche per questo facciamo informazione a chi soccorriamo, per evitare che sottovalutino i pericoli del virus: non hanno coscienza di cosa succede, ma sono più esposti”. In attesa che qualche decreto riconosca il lavoro che stanno facendo si cercano nuove soluzioni: “Oggi una società di catering di Milano si è offerta di venire a cucinare per i poveri. Vedremo come fare. E’ chiaro che non possiamo più pensare come fino a un mese fa”.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.