Nessuno è spacciato

Nadia Terranova

Non ridurre Simone e Greta a creaturine da meme è la più alta forma di rispetto nei loro confronti

E poi, a un certo punto, è successo davvero. Qualcuno, su Facebook, ha creato un fotomontaggio che ritrae Greta Thunberg con in mano un cartello con le parole virali di Simone: “Non me sta bene che no”. L’adolescente nordica e forbita, l’adolescente spavaldo di Torre Maura: arrabbiati e ribelli come sanno essere gli adolescenti, accomunati dalla voglia di spaccare il mondo e di mangiarselo. Adolescenti con visi che possono commuovere, esaltare e dare speranza, dunque: adolescenti. Esattamente come quelli che non sono Greta e non sono Simone, e magari stanno dalla parte opposta dei loro ragionamenti e dei loro slogan, magari sono nati dentro altre famiglie o hanno avuto reazioni opposte a ciò che hanno visto o vissuto, adolescenti che non si scollano dai videogiochi oppure combattono, altrettanto incazzati, la loro personalissima battaglia sul fronte opposto, quello che non ci piace, quello sbagliato, perché gli adolescenti non sono una proiezione dei nostri desideri, delle nostre frustrazioni e della nostra mortificante incapacità di trovare un partito, un leader, una croce da mettere sulla scheda. Gli adolescenti sono adolescenti, non il gingillo del nostro quotidiano bisogno di eroismo e indignazione, non l’immagine di ciò che vorremmo essere e non riusciamo, non le illusioni di rivolta che ci solleticano la pancia perché non siamo più capaci di produrcele da noi.

  

Lo spettacolo penoso di quel fotomontaggio passato di bacheca in bacheca, con adulti compiaciuti che ridono e battono le mani e dichiarano di voler votare due ragazzini alle prossime elezioni, non dice nulla né su Greta né su Simone, ai quali d’istinto e per quello che i social e i media possono dar modo di intuire, va tutta la mia simpatia. Quello spettacolo dice molto di noi, e non sono belle notizie. Così, ieri, ripensando alla mia adolescenza negli anni Novanta, quando grazie al cielo internet non esisteva e nessun adulto sconosciuto di nessuna sinistra perduta mi avrebbe acclamata sul web per averne dette quattro ai fascisti (sì, l’ho fatto, ma avrei potuto stare anche dalla parte opposta: avevo diciassette anni, accidenti!), ho tirato un sospiro di sollievo: che fortuna avere avuto le mie idee con furia e veemenza, avere occupato la scuola, avere indossato la kefiah e poi averla rinnegata, essere stata dark e poi averlo rinnegato, aver detto stupidaggini colossali stando dalla parte giusta oppure cose intelligentissime tutte dalla parte sbagliata, oppure entrambe le cose, ma sempre con la stessa rabbia e con il diritto a cambiare idea, a crescere e a evolversi che è il diritto fondamentale che in ogni adolescente va tutelato.

 

Il diritto a essere qualcosa di diverso, se lo desidera, da ciò che la biologia o la casualità di nascita hanno scelto per lui: ecco perché non mi commuovo quando un adulto ringrazia i genitori per avergli insegnato tutto ciò che c’è di giusto al mondo (ammesso che sia vero, e che sia possibile: sui social sembrano tutti figli di genitori perfetti), ma mi commuovo quando qualcuno è arrivato in un posto lontanissimo rispetto a quello a cui il destino voleva inchiodarlo, e l’ha fatto con le sue gambe, senza compiacere nessuno ma anzi dispiacendo molti. Forse Simone e Greta stanno facendo questo percorso, mi sembra e glielo auguro. Non ridurli a creaturine da meme mi sembra la più alta forma di rispetto nei loro confronti.

 

Se c’è una cosa che noi adulti possiamo fare è cercare di rendere più articolata la loro strada, smontare insieme a loro gli slogan, anche quelli giusti, per scoprire insieme quanta complessità può esserci dietro le polarizzazioni, possibilmente senza inchiodarli a un’immagine, a un simbolo, a un video virale la cui fama durerà sette minuti, infinitamente meno di un’esistenza intera. Hanno quindici, sedici, diciassette anni. Non sono spacciati se fanno il saluto fascista, non sono eroi se sfidano i fascisti. Stanno dentro un laboratorio chiamato adolescenza, stanno cercando la loro strada, forse l’hanno già trovata – serve ancora qualche anno per saperlo, ammesso che lo si possa mai sapere una volta per tutte. Quanto a noi e alla nostra inadeguatezza, non saprei dirlo meglio del papà di Simone: “Se un ragazzo di quindici anni viene vissuto come fosse il sindaco di Riace, vuol dire che a sinistra c’è rimasto solo il deserto”.

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