Gwynne Shotwell con gli astronauti della Nasa in visita al quartier generale di SpaceX. Foto LaPresse

Chi è Gwynne Shotwell, regina dello spazio

Ugo Bertone

Ritratto dell’ingegnere che si nasconde dietro ai successi di Space X e che Musk tiene stretta

Milano. Come si riesce a convivere con un megalomane di successo? Semplice, occorre essere o sembrare più pazzo di lui. E’ questa la strategia di Gwynne Shotwell, la presidente di Space X, la società spaziale di Elon Musk, il bizzarro genio che, non pagò di avere dimostrato per primo con Tesla che l’auto elettrica poteva rivoluzionario il mondo a quattro ruote, ha appena festeggiato il successo della prima missione di Crew Dragon, il taxi spaziale che si è agganciato alla stazione spaziale internazionale trasportando nello spazio Ripley, un manichino così chiamato in omaggio a Sigourney Weaver, la star di Alien. Una grande impresa che rende più vicino, o comunque più credibile l’obiettivo di Musk: mandare una squadra di astronauti su Marte entro il 2024. Un sogno? Poca roba, risponde Gwynne, quasi un gioco da ragazzi. “Per me – spiega la manager cui fa capo la guida operativa del gruppo – la vera impresa è un’altra: uscire dal sistema solare per andare alla scoperta di un’altra galassia”.

        

Lo sbarco su Marte, racconta in un’intervista a Cnbc, è solo un primo passo. “E’ un passaggio importante, per carità, ma non può essere la meta del nostro lavoro. Ci vorrà un grande lavoro per poter rendere abitabile quel pianeta” E allora? Qual è il vostro sogno nel cassetto? ”Io voglio trovare altri esseri viventi, uomini, donne o qualunque cosa ci sia, in un altro sistema solare”. E non scherza. Del resto, dicono le malelingue, non c’è impresa impossibile per una che, dal 2002, resiste assieme a Musk uno che i dirigenti li divora: sono sei, dal 2016, gli amministratori delegati che hanno alzato bandiera bianca dopo avere collaborato con l’imprenditore sudafricano, in perenne conflitto con il mondo (e spesso con i suoi collaboratori).

    

Ma la bionda Gwynne fa eccezione. Lei è in Space X dal 2002, l’assunta numero sette dell’equipaggio scelto da Musk per lanciare la sfida allo spazio. Roba da Guinness dei primati. “Macché– replica lei – A me piace lavorare con Elon. Del resto, sarebbe una vera stupidaggine passare sedici anni di lavoro con uno che non ti piace. Non crede?”. Certo, aggiunge, quel che si dice di lui è tutto vero. “E’ molto aggressivo e ti mette addosso una pressione incredibile. Ma anch’io, come lui, sono convinta che per ottenere i risultati migliori, la gente va messa sotto pressione. E’ la cosa che di più ci vuole per realizzare progetti all’apparenza impossibili, meglio del denaro o del tempo”. Già, l’impossibile non esiste.

   

“Se esamini un problema in ogni suo aspetto una soluzione la trovi”, è la regola di Gwynne Shotwell, nata ad Evanson Illinois il 22 novembre 1963 (il giorno dell’attentato a John Kennedy), da un neurochirurgo e da una mamma pittrice. Un genio bellicoso, che non si fa troppi scrupoli sull’uso della forza nello spazio. “Non me lo sono mai chiesto – risponde ad una domanda sull’uso a colpo militari delle navicelle spaziali – ma non vedo il problema. Perché no, se fosse necessario. Le nostre navi fanno il giro del globo in mezz’ora”. Un carattere forte che che nasconde dietro una cascata di capelli biondi un cervello di prim’ordine, come dimostra la laurea a pieni voti in ingegneria meccanica e matematica applicata della Northwestern University e la lunga serie di onorificenze e i successi nel mondo del business che ‘hanno portata ad occupare la posizione numero 76 nella classifica di Forbes delle donne più potenti del mondo.

   

La festa dell’8 marzo la festeggerà oggi celebrando il ritorno sulla terra del taxi spaziale che ha concepito, componente dopo componente, negli hangar di Cape Canaveral, un tempo regno incontrastato degli ingegneri maschi della Nasa. Oggi, al contrario, c’è molto di femminile nell’impresa di Crew Dragon: nel silenzio dello spazio, sabato 2 marzo, è stata l’astronauta americana Anne McClain ad aprire la navicella dopo l’attracco al boccaporto della stazione spaziale e così liberare Ripley, il manichino imbottito di sensori che, in un certo senso, sarà ricordata come la prima turista nella storia dello spazio. Ormai, è quasi tutto pronto: nella navicella, per ora, manca solo la toilette. A Ripley, del resto, non serviva.

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