L'assalto alle lamette Gillette

Il mea culpa della famosa marca per tutti questi anni di mascolinità tossica e le conseguenze del #MeToo

Simonetta Sciandivasci

Metti che sei un maschio, cosa molto grave in sé, e ti sbarbi da sempre con un rasoio Gillette. Sei un cliente fedele, e anche una persona fedele, a modo e perbene, non hai mai molestato, insultato, perseguitato nessuno. A volte hai persino pianto, persino al cinema, vergognandotene sì, ma non abbastanza da reprimerti. Ti ha sempre fatto sorridere quello slogan di Gilette, quello che dice “Il meglio di un uomo”, e non ti ci sei troppo interrogato, né sentito ritratto, incluso, omaggiato, difeso – dopotutto era solo uno strillo pubblicitario. Adesso, però, Gillette ha deciso di smetterla di coccolarti e di principiare a educarti, quindi ti ha dedicato una pubblicità progresso di quelle che usano ora, quelle che ti vendono qualcosa rimproverandoti, e ti ha fatto vedere tutto quello che sei stato, quello che siete stati tu e quelli come te (i maschi), e ti ha detto che devi migliorare, e che il meglio tuo, il meglio di un uomo, deve ancora venire, avanti, dimostracelo, dimostratecelo. E tu e molti altri come te (maschi) vi siete incazzati, e cosa farete, adesso, boicotterete Gilette, smetterete di farvi la barba, farete ritornare di moda gli hipster, ora che credevamo di essercene liberati?

 

Gillette si impegna al fianco del #MeToo, ha scritto il Guardian. Molte donne si sono commosse, hanno pensato: finalmente questi qua hanno capito che la correzione del maschio è onere dei maschi, non nostro, lo dice persino il loro rasoio. Nella galleria di esempi di mascolinità tossica del clippino progresso non manca niente: un branco di maschi alfa appostati dietro un barbecue, un capo che toglie la parola a una dipendente, un cretino che pizzica il culo a una casalinga, bulli in tenera età. Poi, la voce narrante chiede se quella robaccia sia il meglio di un uomo, e certo che no, noi crediamo che gli uomini possano essere migliori di così. E parte la galleria della rieducazione, una video didascalia molto precisa su come tu, che finora hai pensato di essere potente perché toccavi il culo a una femmina, dovrai impedire che quelli che verranno dopo di te facciano lo stesso (sedando le risse, abbracciando chi piange, mettendo tua figlia davanti a uno specchio e facendole dire “io sono forte, io sono forte”). Negli Stati Uniti la reazione dei conservatori è stata durissima, e certi portavoce del Man’s right activism hanno detto che Gillette descrive i propri clienti come se fossero tutti, indiscriminatamente, violentatori potenziali.

 

Tirata fuori dal bollito scontro tra attivismo femminista e attivismo in difesa del maschio, e fuori dalla militanza #MeToo, la questione è assai più larga, e racconta come nel principio di precauzione sia finito sussunto il pregiudizio, creando un terrificante mostro che chiamiamo sicurezza. La prevenzione, conseguentemente, è diventata un esercizio di controllo integralista – nota di costume, e spassosa coincidenza: Sergej Ejzenstejn, maniaco del controllo, nel suo studio teneva appesa una foto del signor Gillette, inventore della lametta di sicurezza.

 

Una pubblicità che prende a sberle i propri clienti, incaricandosi del loro futuro, è un madornale errore di comunicazione? A Gillette si saranno pur fatti i loro calcoli (tra adulti ci possiamo dire che non hanno agito per l’igiene morale dell’umanità in favore delle donne): è meglio metterci dalla parte dei maschi o delle femmine, cosa ci rende più etici, ora che la bella eticità è una caratteristica indispensabile di un prodotto e/o del marchio che lo produce? Meglio le femmine, via: erediteranno la terra, avranno sempre bisogno di una lametta, fosse anche per tagliarsi le vene.

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