Frank Underwood è il migliore avvocato di Kevin Spacey. Forse l'unico possibile

L’onestà è una recita (liberamente tratta da “House of cards”). Un video che è la radiografia perfetta della complicità di tutti noi che, mentre l’indignazione lo distruggeva, siamo stati a guardare

Simonetta Sciandivasci

L’ultima volta che Kevin Spacey ha pubblicato qualcosa su Twitter era il 29 ottobre dell’anno scorso. Si scusava con Anthony Rapp, qualunque cosa gli avesse fatto, anni fa (pare gli avesse offerto molti drink a una festa e poi lo avesse portato in una camera d’albergo per farci sesso, senza riuscirci, chi lo sa se per il troppo alcol o per rispetto, anche se risicato, del consenso), sebbene non ricordasse niente, neppure di averlo incontrato. Poi, su Twitter e dappertutto, s’era preso del maniaco pedofilo impunito pericoloso seduttore e una trentina e più di altri ragazzi avevano tirato fuori storie torbide su come lui, vecchio lupo famelico, li avesse insidiati, imberbi ragazzini, e allora lui aveva perso il lavoro, e moltissimo altro. Ed era rimasto muto. Aveva accettato tutto: resistere non sarebbe servito a niente.

  

  

Lunedì scorso (era la vigilia di Natale), però, su quel suo account fermo al momento del disastro, come gli orologi delle case terremotate che restano fermi al minuto del crollo, è comparso un video. Titolo: “Let me be Frank”, lasciate che io sia Frank. Sei milioni e mezzo di visualizzazioni su YouTube, sedicimila e passa retweet, quasi cinquantamila cuoricini (il “mipiace” di Twitter). Frank è anche frank, che significa onesto e, per esserlo, per parlarci francamente, Kevin Spacey s’è infilato nei panni di Underwood, il personaggio di “House of Cards” che ha interpretato per cinque stagioni (su sei), e che è stato, di fatto, “House of Cards”, tanto che la sesta stagione, quella senza di lui, epurato dalle purghe del #metoo, ha registrato un flop (a novembre su Sky, nelle prime settimane di messa in onda, gli spettatori non hanno superato il milione e mezzo contro i quattro milioni e 400 mila della stagione precedente, nella quale c’era lui). Per il pubblico, Spacey è Frank Underwood. E poiché a Frank Underwood il pubblico ha non solo perdonato qualsiasi cosa, ma desiderato veder compiere qualsiasi cosa, infrangere qualsiasi regola e arrivare al di là del bene e del male, Spacey ha intuìto che per farsi ascoltare poteva (doveva?) approfittare della speciale immunità concessa al suo personaggio (e sempre più rara: quanti personaggi di finzione abbiamo messo sotto accusa, e pensato di censurare o pensionare, in questi mesi, perché troppo bianchi, o troppo eterosessuali, o troppi maschi, o amorali?).

  

Nel video c’è penombra, come in quasi tutto “House of Cards”, e Frank è in cucina, affetta qualcosa che non vediamo, ogni tanto beve da una tazza, indossa un grembiule natalizio che avrebbe fatto sembrare ridicolo chiunque, ma non lui (anzi: su di lui potenzia la spietatezza, e la rende magnetica). E ci parla.

  

Inizia così: “So cosa volete. Hanno provato a separarci ma quello che ci lega è troppo forte, troppo potente”. E finisce così: “Nonostante io sia morto, mi sento incredibilmente bene. E sono fiducioso che presto saprete tutta la verità. Ma aspettate un momento: le conclusioni possono essere parecchio ingannevoli e voi non mi avete mai visto morire. Sentite la mia mancanza, non è vero?”. Il 7 gennaio Kevin Spacey dovrà presentarsi in tribunale e rispondere dell’accusa di violenza sessuale ai danni di un diciottenne: il rischio che venga incriminato, stavolta, sembra piuttosto alto.

  

Non che sia spaventato. Il grosso è già capitato: Spacey è sparito, ha perso il lavoro, e una buona fetta della sua onorabilità e credibilità, sulla base di accuse mai supportate dai fatti, senza che venisse istruito alcun processo. Il video, quindi, non è un appello, o una richiesta di aiuto: è semplicemente una radiografia perfetta della complicità di tutti noi che, mentre l’indignazione lo distruggeva, siamo stati a guardare (o peggio, l’abbiamo cavalcata); della nostra assuefazione alla menzogna (crediamo a tutto quello che vediamo o ci viene raccontato, perché crediamo che non sia nostro compito verificarlo) che è anche una fame inestinguibile di scandalo e irrealtà, ma soprattutto è una bramosia di vedere spolpato qualcuno. “Non mi sono mai comportato secondo le regole e questo vi è piaciuto tantissimo”, dice a un certo punto, poco prima di congedarsi. Ha negli occhi la stessa espressione del maniaco di “Seven” (uno dei suoi ruoli più incredibili), quando sul finale incastra Brad Pitt e gli dice: “Avanti, trasformati in vendetta”. La trasgressione ci piace e ci piacciono i trasgressori che la praticano al posto nostro: è storia antica. Di nuovo, di spaventoso, Kevin Spacey ci ha detto attraverso Frank Underwood che abbiamo lasciato che un attore venisse distrutto perché lo abbiamo confuso con quello che ha recitato, e quello che ha recitato è tutto ciò che vorremmo ma non possiamo: il male, l’amoralità, il mezzo giustificato dal fine. E siccome è tutto vero come la finzione e si crede più all’attore che all’uomo, Spacey ha avuto l’accortezza di insinuarci l’atrocità del dubbio: “Se non ho pagato per quello che ho fatto, di sicuro non pagherò per quello che non ho fatto”. E vuoi vedere che è così che andrà, sempre di più: sbaglieremo i responsabili, e anche le colpe, perché niente ci lega agli altri più della menzogna.